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19 Maggio 2021 - 19:56
BERGAMO. L'imputato Massimo Bossetti reclama a gran voce dai giudici della Corte d'assise di Bergamo il “ripristino della legalità”. È accaduto in un'udienza a porte chiuse in cui si sono registrati anche momenti di tensione tra accusa e difesa, durante la quale si è discusso della possibilità, da parte degli avvocati del muratore di Mapello, di analizzare numerosi reperti in vista di una eventuale richiesta di revisione della sentenza che condannò Bossetti in via definitiva all'ergastolo per l'omicidio della tredicenne Yara Gambirasio. Yara scomparve il 26 novembre del 2010 mentre stava andando in palestra, a Brembate di Sopra e venne trovata uccisa esattamente tre mesi dopo in un campo di Chignolo d'Isola, a pochi chilometri di distanza da casa. Bossetti fu arrestato il 16 giugno del 2014 dopo che per anni, in gran parte della provincia di Bergamo, fu prelevato il Dna a migliaia di persone. Ed è principalmente quel Dna che gli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini hanno sempre contestato. Può essere rifatto quell'esame? Certo non sulla traccia 31 G20, quella che tra 23mila campioni risultò essere di Bossetti perché, come ammesso dagli stessi legali, «quella è l'unica traccia che è effettivamente esaurita». Per la Procura, rappresentata in aula dal procuratore Antonio Chiappani (la difesa si sarebbe inutilmente opposta a che parlasse) e dal pm Letizia Ruggeri, quei reperti sono “scartini” perché irrilevanti per quanto riguarda la posizione di Bossetti e, qualora fossero riesaminati si verrebbe a creare un quarto grado di giudizio. Durante l'udienza “fiume”, durata tre ore pur essendo un appuntamento squisitamente tecnico, i magistrati avrebbero stigmatizzato il comportamento processuale della difesa che avrebbe in sostanza più volte, negli anni, accusato la Procura di scorrettezze. I legali non hanno voluto commentare una denuncia che sarebbe stata presentata a Venezia, competente a indagare sui magistrati della Corte d'appello di Brescia, quindi anche su quelli bergamaschi, proprio riguardo la conservazione dei reperti che sono stati confiscati e portati dall'ospedale San Raffaele all'ufficio corpi di reato della città orobica . «Non lo sappiamo e non fa parte di questo processo», si sono limitati a dire, mentre la Procura in aula avrebbe sottolineato come i dubbi sulla conservazione siano stati sollevati poco dopo il trasferimento dei reperti a Bergamo dall'ospedale milanese, dove erano stati per anni. Ora la sorte di Bossetti è ancora in mano a una Corte bergamasca che deciderà nei prossimi giorni se imprimere una svolta a un caso che gettò per mesi nell'angoscia tutt'Italia.
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