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04 Novembre 2021 - 23:56
L’ipotesi accusatoria di mafiosità elevata della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria nei confronti di una nota famiglia di imprenditori di Reggio Calabria, i Fontana, appariva granitica sino a ieri sera.
Le società investigate, riconducibili tutte alla famiglia Fontana, avevano effettuato e gestito all’inizio degli anni 2000 e per un decennio, la manutenzione degli automezzi per il servizio raccolta dei rifiuti nella città di Reggio Calabria, con ritenuta infiltrazione in società a partecipazione pubblica, la Leonia spa, realizzando, a parere degli inquirenti, rilevanti sovrafatturazioni, grazie all’aiuto di funzionari infedeli.
Infatti, dal momento dei clamorosi arresti, passando attraverso la decisione di primo grado intervenuta il 27.07.16 e sino alla decisione della Corte di appello maturata il 13.05.20, le varie Autorità Giudiziarie avevano decisamente affermato la esistenza di una associazione di tipo mafioso organizzata dall’imprenditore Fontana Antonino, il quale avrebbe utilizzato la fama intimidatrice del padre Giovanni, ritenuto mafioso nel lontano 1991, coadiuvato dai fratelli Giuseppe Carmelo e Francesco Giovanni, intestando alle proprie mogli varie società.
Per l’ultimo grado di giudizio, quello di legittimità, Fontana Antonino, condannato ad anni 16 e mesi 6 di reclusione, colui che avrebbe posto in essere le più rilevanti attività societarie cadute sotto la lente degli investigatori, sceglie di rafforzare la difesa nominando il cassazionista Dario Vannetiello (nella foto) del Foro di Napoli.
Ed è proprio all’esito del giudizio di legittimità che è maturata una clamorosa svolta.
La Suprema Corte di Cassazione, sesta sezione penale, presieduta dalla dottoressa Petruzzellis e che ha visto come relatrice la dottoressa Vigna, nonostante il Procuratore Generale dottoressa Picardi avesse chiesto di escludere solo la natura armata della compagine confermando la penale responsabilità di tutti gli imputati, ha annullato senza rinvio sia la condanna per associazione di stampo mafioso, sia le varie condanne per intestazioni fittizie, oltre a travolgere ulteriori statuizioni.
Trattasi di uno dei rarissimi casi in cui i Giudici capitolini, oltre ad annullare la sentenza di condanna per mafia, hanno ritenuto addirittura superfluo un nuovo giudizio innanzi alla Corte di appello, nuovo giudizio che verrà svolto solo per De Caria Bruno Maria ma al solo fine di individuare la pena che costui merita rispetto ad reato di peculato.
La sorpendente decisione della Suprema Corte premia anche il lavoro di tutto il collegio difensivo rappresentato dagli avvocati Natale Carbone, Bruno Poggio, Francesco Calabrese, Manlio Morcella, Teodoro Reppucci, Giovanni Gurnari, Salvatore Morabito, Vincenzo Gennaro, Raffaele Manduca e Pasquale Maraguccio.
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