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La vita è un Bene indisponibile che non possiamo sopprimere

La  vita è un Bene indisponibile che non possiamo sopprimere

La Vita è un Bene meraviglioso indisponibile. La Vita  è un Dono,  avuto per noi cristiani dal Signore, Creatore del Mondo, in termini pienamente laici, dalla  natura. È un Bene, di cui non possiamo disporre a  piacimento. Possiamo agire per creare buone condizioni per la  vita, ma non possiamo sopprimerla.

La  Vita  ha  un carattere di dignità sempre.  Nella  società efficientistica, in cui viviamo una  persona è valida ed ha una vita  degna, quando sta  bene in salute, è autonoma, lavora, produce, è ben relazionata, guadagna.  Ha  una  vita non  degna di essere vissuta, quando si ammala, non è più totalmente autonoma, diventa  un peso economico, familiare , sociale. Noi non siamo d’accordo. La Vita ha  una sua dignità sempre per motivi intrinseci nella essenza della  vita e non in relazione alla capacità operativa, autogestionale e relazionale della  persona in causa. Tutte le vite  hanno il diritto di essere apprezzate, comprese, sostenute dalla comunità. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea  recita: 

 Art. 1 (Dignità umana). - 1.  La  dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata. 

 Art. 2 (Diritto alla  vita).-1. Ogni  persona  ha diritto alla vita  (non dice “Ha  diritto  alla  morte”. 

Noi riteniamo  validissime queste considerazioni  e desideriamo lavorare, affinché siano riconosciute valide ed apprezzate.

Una comunità civile deve riconoscere e  vivere questi  valori e queste considerazioni.

Con piacere  segnalo  ciò  che  rispose  la  grande Antropologa  Margaret  Mead ad uno studente che le chiese quale fosse  il primo segno  di civiltà  in una Cultura. Lo studente  riteneva che Mead  parlasse di ami, pentole di terracotta o macine di pietra. Non fu così. Mead disse che il primo segno di Civiltà in una Cultura  antica e primordiale è stato  un femore rotto e poi guarito. Mead spiegò che nel  mondo primordiale, chi  si rompeva  una gamba, moriva. Una persona con frattura di collo femore aveva  bisogno di essere tutelata, doveva essere aiutata per mangiare e bere fino a  consolidazione dell’osso. Quindi  in termini antropologici una comunità diviene civile, quando aiuta  gli abbisognevoli, i fragili, quelli che nella società efficientista vengono ritenuti scarti da  eliminare.

Detto questo, fondato su valutazioni antropologiche, un popolo civile si prende cura dei fragili, dei deboli, dei sofferenti, degli ammalati, di chi non è autonomo e da questo  atteggiamento  scaturiscono programmi sociali, di assistenza, di amore… importanti.

A  proposito di autodeterminazione va segnalato che  ognuno nasce, vive e muore in relazione e non può ritenere di essere autonomo nella  decisione  di interrompere i suoi giorni. Si nasce  grazie all’Amore fra madre e padre, ci si sviluppa nell’utero della  mamma, ci si sviluppa grazie al cibo ed all’assistenza dei genitori e della  famiglia, si sviluppa la  conoscenza grazie a maestri, si vive da  ragazzi con coetanei e  si lavora  nel sociale e grazie agli altri.  Interrompere la propria vita  non è possibile con una decisione del tutto autonoma, avulsa  dal contesto relazionale in cui si è vissuto e si vive.

Siamo  fermamente contrari alle determinazioni  legislative che possano ammettere l’eutanasia ed a  condizioni che possano depenalizzare il suicidio assistito.

Siamo pienamente  contrari all’idea che il medico o la  struttura sanitaria in senso lato possano procurare la fine dell’esistenza.

Naturalmente, va considerata la  necessità di valutare la  morte come  naturale termine della vita, da vivere con serenità in termini  familiari, con gli affetti domiciliari, quando possibile, e non come una vicenda innaturale da  non vivere comunitariamente.

Riteniamo certamente che vada escluso assolutamente l’accanimento terapeutico, che è inopportuno, segno di incultura  umana e medica e finanche segno di cattiveria.  

Cosa chiediamo:

    ⁃    Che, attuando  la  legge  38/2010, si sviluppino  sempre più  la terapia del dolore,   le cure palliative,  la  costruzione di hospice,  la  terapia del dolore  a domicilio, l’assistenza delle persone al termine della  vita a  domicilio.

    ⁃    Che si migliori la   preparazione universitaria per i palliativisti, che devono essere artisti nell’accompagnare un paziente nella  fase terminale, sapendo favorire finanche il dialogo con la  famiglia  

    ⁃    Si sviluppi la  cultura  del sostegno  psicologico, sociale, economico alle famiglie  coinvolte nell’accompagnamento di una persona terminale.  

Riteniamo che bisogna 

-      fare cultura  della  dignità della  vita  

-   fare  cultura del valore dell’Amore, che è ciò che può aiutare ad accompagnare al meglio una persona verso la fine…..

*Presidente nazionale del Forum delle associazioni socisanitarie

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