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20 Settembre 2023 - 08:52
Allo studio l’uscita anticipata senza il ricalcolo contributivo previsto dall’attuale “Opzione Donna”
ROMA. Pensioni, forse novità all’orizzonte. Un accompagnamento per le donne già a partire dai 61 anni. Ma anche la possibilità di usare la previdenza integrativa per permettere ai più giovani di uscire dal mondo del lavoro già a 64 anni. Mentre il lavoro sulla manovra procede con cautela, in attesa che la Nadef definisca quella che sarà la cornice delle risorse, nel cantiere delle possibili misure è dal capitolo pensioni che spuntano nuove ipotesi di lavoro.
In particolare, prende forma l’ipotesi (“l’Anticipo PEnsionistico” sociale), ovvero l’Ape donna, ossia l’un’Ape sociale agevolata al femminile, che consentirebbe di ricevere l’indennità di accompagnamento verso la pensione dai 61/62 anni invece dei 63 previsti attualmente. La platea è quella delle donne con una situazione di disagio (licenziate, con invalidità almeno al 74%, caregiver o impegnate in lavori gravosi) e si aggiungerebbe allo sconto già in vigore di un anno per ogni figlio, fino a un massimo di due anni.
Una soluzione che potrebbe anche mandare in soffitta “Opzione donna”, già oggetto di una forte stretta. Qualche prospettiva di anticipare l’uscita dal lavoro arriva anche per più giovani. L’idea è di dare la possibilità di usare la contribuzione nella previdenza integrativa per raggiungere la soglia minima e uscire già a 64 anni anche per chi ha cominciato a versare dal 1996 ed è quindi interamente nel sistema contributivo.
Per il resto il capitolo previdenziale in manovra dovrebbe limitarsi alla proroga di quota 103 (62 anni di età e 41 di contributi) e Ape sociale. Non partirà dunque nemmeno quest’anno la “Quota 41” piena tanto cara alla Lega, cioè la possibilità di andare in pensione con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età: è un “obiettivo di legislatura”, promette comunque il sottosegretario al Lavoro leghista Claudio Durigon. In questa manovra c’è spazio solo per le priorità, è il mantra dell’esecutivo.
Con il Ministero dell’Economia che guida la linea della cautela di fronte ad un quadro tutt’altro che roseo. La politica monetaria restrittiva della Bce è riuscita solo a rallentare la crescita, osserva il titolare del Mef Giancarlo Giorgetti. E per un paese indebitato come l’Italia il rialzo dei tassi significa avere a disposizione «14-15 miliardi in meno». Con questo dovrà fare i conti la manovra. Su cui è destinato ad incidere anche il negoziato sul nuovo Patto di Stabilità, con l’Italia in pressing perché siano esclusi gli investimenti. Sulla riforma però Giorgetti sfodera ottimismo: l’accordo «si raggiungerà dice se non a ottobre dopo Natale». Quello che è certo è che la prossima legge di bilancio.
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