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26 Marzo 2018 - 18:54
Archiviata l'indagine sulla rinuncia di Alberto Stasi all'eredità paterna
E' stata archiviata l'indagine sulla rinuncia di Alberto Stasi all'eredità paterna. La famiglia Poggi aveva, infatti, presentato una denuncia nei confronti di Stasi, condannato all'ergastolo il 13 dicembre 2015 per l'omicidio di Chiara Poggi e al risarcimento di un milione di euro.
Per l'accusa, Stasi ha evitato di dichiarare di accettare l'eredità entro 40 giorni dalla chiusura dell'inventario, facendo decadere il diritto senza alcuna rinuncia espressa, ostacolando l'esercizio dei diritti di legge. Il fatto che "abbia omesso di accettare l'eredità è certamente anomalo", scrive il gip Natalia Imarisio. Anomalia che non poteva spiegarsi "con una totale dimenticanza dovuta alle condizioni di 'stress' in cui versata Stasi (come allegato dalla difesa) risultando anzi sospetta, anzitutto, proprio per la coincidenza temporale con quella grave pendenza giudiziaria che appunto, e ben giustificatamente, i pensieri di Alberto Stasi doveva costantemente occupare e che avrebbe potuto comportare anche una pesante condanna risarcitorie in favore delle parti civili".
La mancata accettazione dell'eredità "appare verosimilmente come l'ultimo tassello di una raffinata serie di atti", scrive il giudice che ricorda come la madre Elisabetta (unica erede), abbia venduto la casa a Spotorno nel gennaio 2017, un trasferimento "in mala fede" perché avvenuto subito dopo il fallimento della mediazione con la famiglia Poggi. Se non si può credere che lo stress gli abbia fatto dimenticare la scadenza per ricevere la "consistente eredità", la vendita della casa o le dichiarazioni imprecise rese al notaio non bastano per accusarlo dei reati di falsa dichiarazione a un pubblico ufficiale e di mancata esecuzione di un provvedimento del giudice.
Nel provvedimento di archiviazione il gip osserva che "nel giudizio civile le parti risultano, di fatto, ad un passo dal trovare un accordo", mentre "non va accolta" la richiesta di Stasi di trasmettere gli atti alla procura "per l'ipotesi di calunnia" per alcune dichiarazioni rese dalla famiglia Poggi trattandosi di "legittima esposizione all'autorità giudiziaria di fatti pacificamente lesivi dei loro diritti patrimoniali e, almeno di massima, pacificamente corrispondenti al vero".
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