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L'appello

Don Coluccia: «Non abituiamoci al crimine, ripartiamo da Vangelo e Costituzione»

Il sacerdote continua la sua azione nei quartieri dello spaccio

Don Coluccia: «Non abituiamoci al crimine, ripartiamo da Vangelo e Costituzione»

Don Antonio Coluccia

Don Antonio Coluccia, sacerdote noto per il suo impegno nelle periferie romane, lancia un appello deciso: non rassegnarsi al crimine, ma reagire con il Vangelo e la Costituzione come strumenti di rinascita sociale. Coluccia, che da anni lavora con i più vulnerabili e organizza le cosiddette “passeggiate della legalità” nelle piazze dello spaccio della Capitale, non vuole tirarsi indietro nonostante le numerose aggressioni subite. La sua visione è chiara: «Non c’è rischio senza Vangelo, né Vangelo senza rischio».

In prima linea nei quartieri più difficili di Roma – dal Quarticciolo a San Basilio, da Tor Bella Monaca al Laurentino 38 – Don Coluccia non solo denuncia la presenza della criminalità organizzata, ma combatte per restituire dignità alle persone che vivono in quei territori. «In questi luoghi ci sono volti, storie, sogni», afferma con forza. Tuttavia, lamenta che questi sogni vengano spesso traditi dalla criminalità e, in alcuni casi, dall’assenza dello Stato.

Al centro della sua battaglia ci sono le mafie, che considera i veri “crocifissori” di queste realtà. «I clan – dice – tolgono il diritto di scelta ai giovani, condannandoli fin dalla nascita». Il riferimento è alle dinamiche di controllo esercitate dai clan nelle piazze di spaccio, dove spesso la criminalità rappresenta l’unica via per molti ragazzi. Per Don Coluccia, la missione della Chiesa e della società è “schiodare” questi giovani da una croce che non hanno scelto.

Nonostante il suo impegno, Don Coluccia ha dovuto fare i conti con numerosi attacchi. L’ultimo episodio violento si è verificato solo pochi giorni fa, al Quarticciolo. Un uomo ha cercato di aggredirlo con una bomboletta di metallo. Solo grazie all’intervento della scorta si è evitato il peggio, anche se la situazione è rapidamente degenerata, con una folla che ha aggredito i poliziotti presenti, costringendoli a sparare un colpo di pistola in aria per disperdere la massa.

Uno degli aspetti che più preoccupa Don Coluccia è la normalizzazione del crimine. La criminalità organizzata, secondo lui, sta diventando parte della quotidianità delle periferie, con le persone sempre più assuefatte alla violenza e al degrado. «Questo mi spaventa – confessa – perché le persone stanno accettando il crimine come una parte inevitabile della loro vita. E questo è pericoloso, non solo a livello sociale, ma anche a livello pastorale».

La sua attività, per molti, rappresenta un faro di speranza. La scorsa settimana, Don Coluccia ha portato nel quartiere Laurentino 38 alcune figure istituzionali, come il presidente della Commissione parlamentare sulle periferie, Alessandro Battilocchio, e la presidente del Municipio, Titti Di Salvo, per una visita simbolica nei luoghi segnati dal crimine. Il loro giro è iniziato da un bar, lo stesso in cui tre anni fa il proprietario, Andrea Martini, fu picchiato dalla ’ndrangheta.

In un contesto dove la criminalità sembra avere il controllo, Don Coluccia invita tutti – dallo Stato alle istituzioni religiose – a non tirarsi indietro. «Dobbiamo compromettersi – ripete – perché la giustizia e la legalità sono responsabilità di tutti». E il suo richiamo alla responsabilità non si limita a parole: Don Coluccia continua a camminare per quelle strade, a parlare con i giovani, a opporsi ai clan, consapevole dei rischi, ma certo che il cambiamento sia possibile.

Il suo appello, quindi, è chiaro: non rassegnarsi, non accettare il crimine come parte della vita quotidiana. E per farlo, bisogna ripartire da due pilastri: il Vangelo e la Costituzione, strumenti potenti per difendere la dignità delle persone e costruire un futuro di giustizia e legalità nelle periferie di Roma.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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