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Dopo il divieto del rito della tradizione

Il teologo don Bux: «Chiesa inclusiva ma nega la Messa in latino»

L'auspicio: «Che l’Arcivescovo Battaglia prenda a cuore la petizione dei fedeli e faccia celebrare la Messa in primis dai suoi sacerdoti diocesani»

Il teologo don Nicola Bux: «Dal Concilio tanta misericordia, ma ancora negata la Messa in latino»

Il teologo monsignor Nicola Bux

NAPOLI. I fedeli della Messa in latino hanno organizzato per venerdi 22 novembre i all’Hotel Mediterraneo un convegno sul divieto alle celebrazioni nella Diocesi di Napoli. Tra i relatori, il teologo Nicola Bux, già consigliere e amico di Papa Benedetto XVI. Il ROMA lo ha intervistato:

Si parla di continuo di nuove possibili restrizioni del Papa alla celebrazione della Messa in latino, mentre a Napoli sono già state cancellate le Messe in latino promosse dai Coetus Fidelium. Perché questa ostilità?

«Si teme che dietro la domanda di liturgia tradizionale, si nasconda il rifiuto dell’idea di Chiesa scaturita da Concilio. Però, i fedeli sempre più numerosi in oltre 90 paesi del mondo dove si è diffusa la Messa tradizionale, fanno notare che, dal Concilio è venuta fuori la vulgata di una Chiesa “misericordiosa”, contraddittoria con la linea dura del Vaticano. Così sono aumentati la distanza e lo scontento, a tre anni dal motu proprio Traditionis Custodes, che ha imposto le restrizioni. Domando: Gesù Cristo che non è venuto ad abolire ma a dare compimento, farebbe una cosa del genere? Tutto ciò fa letteralmente a pugni con l’invito del Papa alla sinodalità, cioè a camminare insieme. Forse per questo, l’indagine condotta dalla Segreteria del Sinodo, in cui quasi l’80% ha detto di essere indifferente o contraria alla sinodalità è scomparsa dal sito web».

Lei è stato consultore ed amico di Papa Benedetto XVI. Quali erano gli obbiettivi della sua liberalizzazione della Messa in latino con il Motu proprio “Summorum Pontificum” del 2007 ?

«Papa Benedetto, da cardinale aveva girato il mondo e da realista, si era reso conto che la liturgia nuova necessitava di correttivi, in quanto soggetta a “deformazioni al limite del sopportabile”. Egli voleva mettere fine alla guerra liturgica che si trascinava dai tempi del Concilio. Da papa, col motu proprio Summorum Pontificum, propose – non impose – un contagio buono tra le due forme, antica e nuova, del rito romano, che avrebbe pian piano sanato la situazione. Infatti ha visto giusto, molti sacerdoti che hanno imparato a celebrare la Messa tradizionale, celebrano con devozione la Messa nuova, e le deformazioni scompaiono. Le imposizioni non portano a niente di buono».

Dal mese di maggio, nella Diocesi di Napoli, un decreto dell’Arcivescovo Battaglia consente di celebrare la Messa in latino, con il rito antico, esclusivamente ai sacerdoti di un Istituto religioso. Quali motivazioni può avere un provvedimento come questo?

«I Vescovi parlano di sensus fidelium, ma poi non lo rispettano. La popolarità crescente della Messa tradizionale è causata, almeno in parte, da insoddisfazione per la Messa nuova tra molti cattolici che la frequentano. Ma la mossa suggerita all’Arcivescovo da suoi collaboratori di sopprimere la Messa tradizionale, finisce per far dilagare la sfiducia e il distacco dalla Chiesa. Tutto questo, mentre si parla di “Chiesa aperta”, in cui entra di tutto e di più. Non è azione pastorale sopprimere d'autorità le manifestazioni spontanee di fede».

250 fedeli hanno firmato una petizione all’Arcivescovo, chiedendo il ripristino delle Messe in rito antico cancellate. Una Chiesa che si dice “inclusiva” verso ogni minoranza ed identità dovrebbe tenerne conto?

«Inclusione è una parola-talismano. Il punto è che la popolarità della Messa tradizionale dipende dal fatto che risponde al bisogno di trascendenza e di soprannaturale che è nell’uomo, cioè di incontrare la presenza di Dio nel culto, che per questo si chiama culto divino. E la frequentano soprattutto i giovani e gli uomini, quando le nostre chiese sono accorsate soprattutto da donne. Auspico che l’Arcivescovo di Napoli, ora Cardinale, noto come persona attenta ai bisogni degli emarginati, prenda a cuore la petizione e faccia celebrare la Messa in primis dai suoi sacerdoti diocesani, oltre che dai benemeriti religiosi. Napoli è una grande metropoli e ci vorrebbero almeno tre Messe per non emarginare i gruppi di fedeli. Ricordo un’inchiesta doxa di alcuni anni fa: favorendo la Messa tradizionale, tornerebbero in Italia alla Chiesa almeno due milioni di persone». 

La recente indagine del CENSIS, commissionata dalla CEI, segnala lo smarrimento dei fedeli, la costante diminuzione della pratica religiosa e la diffusione del "fai da te" della religione, del quale già parlava Benedetto XVI. La Messa in latino può essere considerato un antidoto?

«Secondo l’indagine, il 43,9% dei praticanti dice di apprezzare “i bei riti di un tempo”: non appena la Messa tradizionale, che molti praticanti non conoscono, ma anche quella nuova celebrata secondo le norme del Messale e altri riti tendenti a sparire, come la processione del Corpus Domini. È il segno della sete di sacralità, menzionata proprio dal presidente del Censis. Qualcuno dirà: ma è il 6% della popolazione, è vero: ma significa circa 3 milioni e mezzo di credenti: quasi una persona su due che va alla Messa domenicale. Cosa ne pensano i Vescovi?».

 

 

 

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