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Era "Il Piccolo Principe" del giornalismo

Ecco qual era il suo "segreto": la fede, gli insegnamenti delle zie suore, della famiglia e del papà scomparso prematuramente ma di cui ha prolungato l'esistenza ispirandosi ai valori di cui è stato erede

Era "Il Piccolo Principe" del giornalismo

Che bella questa foto di Fabio. C'è quasi tutto di lui: il NAPOLI al centro e, intorno, le testate giornalistiche del suo percorso professionale. Il suo radioso sorriso. Ma... se non lo avete notato, sul monitor c'è il quotidiano cattolico "Avvenire" e un titolo: "Vite da accogliere, tutte". I colleghi stanno scrivendo su di lui fiumi di ricordi e tramite i messaggi sui social ho fatto una scoperta: Fabio Postiglione non ha mai tagliato i legami con alcuno e con ciascuno ha intessuto negli anni - pur allontanandosi geograficamente - dialoghi continuati e intensi, capaci di far sentire unico e speciale nella sua vita chiunque parlasse con lui (Vite da accogliere, tutte).

A me, dunque, il compito di far conoscere un aspetto di Fabio che ho avuto il privilegio di ricevere in riservata confidenza: la sua spiritualità, che lo portava alla ricerca delle profondità dell'animo e della fede. La spiritualità, la religione cattolica - conosciuta e vissuta in famiglia con le zie suore - sono state fondamento dei valori di vita e professionali a cui si ispirava. Tra lo stupore, molti descrivono di Fabio Postiglione la generosità professionale con cui condivideva - anche con il neofita - i numeri di telefono della sua preziosa agenda di contatti professionali. Era forte, infatti, della sua grande umiltà e della carità cristiana, il patrimonio ereditato dalla sua famiglia, dal papà, Bruno.

Sin da quando si presentò in redazione, al ROMA, in via Chiatamone, mi diede a intendere che ogni scelta e impostazione del suo modo di essere sarebbero stati improntati al ricordo e all'emulazione del padre, scomparso prematuramente. Tutto di Fabio viveva come prolungamento del cammino del papà, Bruno, come se avesse voluto in questo modo prolungargli la presenza sulla terra, al fianco della madre, per confortarla, accanto ai fratelli, per la gioia dei nipotini.

Ecco perché quel ragazzino mi sembrava tanto più maturo della sua età. Aveva modi da gentleman di altri tempi, eppure gioviali e frizzanti, tali da contrastare nell'insieme. Conquistava tutti. Il classico "bravo ragazzo" affidabile, con angoli nascosti da birbante che scatenava solo durante le sue scorribande allo stadio "San Paolo", l'attuale "Maradona".

Stava vivendo la sua vita e prolungava quella del padre... così - lasciatemi questa riflessione metafisica - i suoi anni si sono sommati a quelli del papà... e - anche se troppo giovane per morire - Fabio ha percorso un ciclo di vita doppio, paradossalmente "lungo" e più intenso e sapiente di qualunque altro giornalista di cronaca. Era questa la carica che si portava dentro.

Conosceva la preghiera. Ricordiamoci, dunque, del "segno" che ha lasciato in questa foto: ricordiamoci della testata "Avvenire" che leggeva. Fabio era un uomo di fede e lo dimostrò quando, in un periodo di buio nella sua vita, spense tutti i cellulari "sparì dal mondo". Al suo ritorno dalle ferie, poi, venne alla mia scrivania e mi interruppe, per raccontarmi di avere trascorso i suoi preziosi 15 giorni estivi non con gli amici o in un villaggio turistico, ma sul Cammino di Santiago. «Con chi sei andato?» gli chiesi. Mi rispose: «Da solo».

Lo aveva fatto in gran segreto. Mi mostrò con orgoglio la “Credenziale”, un passaporto rilasciato dall'Oficina del Peregrino della Diocesi di Santiago di Compostela. Mi raccontò della conchiglia del pellegrino, delle scarpe da ginnastica che gli formavano ai piedi le vesciche dolorose da lavare alle fontanine che incontrava sul suo percorso, della fatica di chilometri in cui si ritrovava talvolta in un silenzio inquietante - la prova più terribile che aveva dovuto affrontare - che aveva scelto proprio perché lo riteneva "necessario alla disintossicazione dall'esposizione mediatica" e dai cellulari ai quali era legato a doppio filo, per il lavoro e anche aspettando invano segnali di un sentimento finito in modo doloroso.

Mi descrisse il percorso, l'equipaggiamento: «Mi hanno dato persino aghi e filo da sutura, in caso mi fossi ferito e avessi dovuto ricucirmi da solo» disse. E poi gli incontri inattesi e le separazioni... Le sue riflessioni. Era partito triste e tornò sorridente, anche se ancora chiuso nelle sue meditazioni. Parlavamo spesso del suo papà.

In una delle nostre ultime conversazioni in chat gli raccomandai: «Non dimenticare le preghiere della sera e va' a messa». Incredibilmente, mi rimandava in risposta, ogni tanto, ricordi dei primi tempi di giornalismo, esprimendo per me parole di ammirazione che riuscivano a farmi sentire orgogliosa (e commossa) di averlo incontrato.

Ora, però, l'incontro più bello l'ha fatto qualche ora fa nei Cieli: riabbracciando il suo adorato papà. Ma quanto vuoto lascia Fabio quaggiù, nei cuori di tutti noi - tutti, tanti - che lo amiamo. Piccolo Principe del giornalismo, piccolino  - ti ho sempre chiamato così - continua a camminare nella Luce. Meritavi ancora più fulgidi successi professionali lì al Corriere della Sera. Meriti, adesso, meravigliose scoperte e gioie nell’Eternità.

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