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Suor Monia: «La scuola deve educare, non imporre ideologie»

Il caso del 13enne punito a Verona riaccende il dibattito: «L’inclusione non può diventare imposizione»

Suor Monia: «La scuola deve educare, non imporre ideologie»

Punire un ragazzo perché si rifiuta di percorrere una scala arcobaleno. Imbastire compiti scolastici con l’asterisco per cancellare le desinenze maschili e femminili. Imporre una visione unica della realtà in nome dell’inclusione. È questa l’educazione del futuro? Il caso del ragazzo di 13 anni di Verona, sanzionato con una nota disciplinare per aver scelto di non attraversare una scala con i colori dell’arcobaleno, è solo l’ultimo esempio di una deriva ideologica che sta investendo il mondo della scuola.

Il padre del giovane ha denunciato che il figlio sia stato accusato di omofobia, difendendo invece il suo comportamento come un’espressione di pensiero libero. Ma il problema è più ampio e riguarda il confine sempre più labile tra educazione e imposizione culturale. A denunciarlo è Suor Anna Monia Alfieri, esperta di politiche scolastiche e Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana, che in più occasioni ha richiamato l’attenzione sul rischio di una scuola trasformata in strumento di propaganda ideologica.

«Si parla di rispetto e libertà, ma poi si punisce chi non si allinea. La scuola non può essere il luogo dell’imposizione, ma deve restare quello del confronto. È inaccettabile che un ragazzo venga sanzionato per aver scelto di non compiere un gesto che non sentiva suo. Il compito della scuola è formare e istruire, non trasformarsi in tribunale ideologico dove chi non si adegua viene punito». Per la religiosa, quanto accaduto a Verona è il riflesso di una tendenza pericolosa.

«Si accusa di oscurantismo chiunque non si pieghi a una determinata narrazione culturale. Chi non aderisce a certe visioni viene etichettato, isolato, persino punito. Questo è davvero il modello di inclusione che vogliamo? L’inclusione è tale solo se vale per tutti, non solo per chi aderisce a un pensiero dominante. Altrimenti non è inclusione, ma esclusione di chi la pensa diversamente».

Ma il problema non si ferma a Verona. In diverse scuole italiane, tra cui alcuni istituti di Napoli, si stanno diffondendo comunicazioni ufficiali e compiti scolastici scritti con l’asterisco, nel tentativo di eliminare le desinenze maschili e femminili.

«L’uso dell’asterisco non aiuta, anzi, genera confusione. Maschio e femmina li creò: questa è la realtà. Si può discutere di orientamenti, di vissuti personali, ma negare l’identità biologica in nome di un’ideologia non è educazione, è manipolazione. L’inclusione non si costruisce con un asterisco, ma con politiche educative serie e leggi che proteggano chiunque subisca discriminazioni, non con un linguaggio imposto dall’alto».

La religiosa mette in guardia sul rischio che la scuola diventi un ambiente in cui il pensiero critico viene soffocato a vantaggio di un’unica visione imposta dall’alto. «Dobbiamo chiederci: che tipo di cittadini vogliamo formare? Giovani capaci di pensare o persone educate alla conformità? Un ragazzo che non sale su una scala arcobaleno è automaticamente omofobo? Chi non usa il linguaggio neutro è discriminatorio? Questa non è educazione, è indottrinamento. La scuola deve restare il luogo del confronto, non un laboratorio ideologico».

La soluzione? Garantire la libertà educativa, affinché i genitori possano scegliere per i propri figli un’istruzione coerente con i loro valori, senza essere costretti a sottostare a imposizioni ideologiche.

«In Italia vige ancora il principio per cui chi è ricco sceglie e chi è povero si adegua. In uno Stato di diritto, questo è inaccettabile. La vera inclusione parte dalla possibilità di scegliere liberamente il percorso educativo dei propri figli. La scuola deve essere pluralista, non monolitica. Se non si interviene, ci ritroveremo con generazioni educate non a pensare, ma a conformarsi».

Il dibattito è aperto e sempre più urgente. Se la scuola continuerà su questa strada, si troverà a rinunciare alla sua missione educativa per diventare strumento di propaganda. La domanda da porsi è una sola: vogliamo un’educazione che insegni a pensare o un sistema che insegni solo ad adeguarsi senza discutere?

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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