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l'analisi
05 Maggio 2025 - 10:40
Nell’attuale fase della storia dei regimi democratici occidentali sembra andar prendendo forma una strategia i cui sviluppi non sono prevedibili. Notizia della scorsa settimana è che i Servizi interni tedeschi, colà noti con l’acronimo BfV – in italiano si scioglie come Difesa della Costituzione – dopo una lunga inchiesta condotta per oltre quattro anni, hanno elaborato un ponderoso rapporto di circa 1.100 pagine stabilendo che l’AfD, Alternativa per la Germania, è un partito assai pericoloso, d’estrema destra, in grado di mettere a repentaglio l’assetto costituzionale teutonico e dunque da ‘attenzionare’, come usa dire nel gergo poliziesco: il che, tradotto in pratica, vuol significare che potranno potenziarsi i mezzi investigativi a disposizione della autorità per controllare lo svolgersi dell’azione politica del partito allegato a sospetto.
Quel che lascia per vero assai perplessi – ma se ne sa ancora troppo poco – è che a queste conclusioni i BfV sono pervenuti non sulla scorta di rilevate condotte specificamente illecite bensì – par di capire – alla stregua d’un giudizio di carattere squisitamente ideologico: i principi perseguiti da quella forza politica, che gode di sempre più ampio consenso popolare, sarebbero indirizzi che violerebbero la dignità umana, razzisti in buona sostanza. Dunque, uno schietto giudizio politico, espresso da servizi segreti, che fonda la sottoposizione a grave sospetto d’una popolarissima forza politica. È un trend, evidentemente in corso. Noi, in Italia, siamo stati antesignani.
Nel novembre del 2013, Silvio Berlusconi, a seguito d’una condanna resa definitiva dalla Corte di Cassazione in esito ad una camera di consiglio il cui andamento – successivamente emerso – sarebbe stato ben collocato nelle pagine del genere farsesco, fu dichiarato decaduto dalla carica di senatore, lui, il capo dell’opposizione in quel momento in Italia. Qui ci crogioliamo notoriamente nella culla del diritto, sicché gli strumenti utilizzati sono stati più paludati; ma il risultato fu che ci si provò all’eliminazione politica del responsabile di un’importante partito, in forza d’una condanna per pretesa frode fiscale compiuta dalle sue società quando egli non vi occupava alcuna carica. Di recente, in Romania la cosa è avvenuta in termini alquanto più spicci, essendo stato messo fuori legge dalla locale Corte costituzionale il candidato Călin Georgescu, quasi certo vincitore, tra il primo ed il secondo turno elettorale, sulla base di documentazione, sempre dei Servizi, questa volta rumeni, tempestivamente desegretati dal Consiglio Supremo di Difesa e presi per limpida acqua di fonte da chi ha deciso l’estromissione del candidato.
Con modi a tal segno inurbani, che la concorrente candidata liberal-progressista e favorevole all’UE ebbe ad affermare che lo stato rumeno “ha calpestato la democrazia”. Ma tant’è. In Francia, la candidata Marine Le Pen è stata condannata per uso improprio di fondi pubblici europei, perché avrebbe usato gli assistenti parlamentari europei per attività politica nazionale: in disparte l’opinabilità di siffatte qualificazioni – un parlamentare europeo è un politico tout court, per esprimerci nel lessico gallico – la giudice che l’ha condannata ha ritenuto che la promessa e non velleitaria aspirante a niente di meno che la Presidenza della République fosse talmente pericolosa, che l’interdizione immediata (in attesa dell’appello) dai pubblici uffici fosse prescrizione inevitabile. Nemmeno va tralasciato che l’attuale presidente americano Donald Trump un annetto e mezzo fa fu arrestato e rilasciato su cauzione, quando stava preparando la propria candidatura per un secondo mandato presidenziale. L’accusa era quella d’aver tentato di sovvertire i risultati delle elezioni presidenziali del 2020 nello stato della Georgia. Non proprio un nonnulla, a volerlo dimostrare.
Ora, il ripetersi di questi episodi, in stati che non sono la Turchia di Erdogan, dove si arresta il sindaco di Istanbul, pericoloso concorrente alle prossime presidenziali, e gli s’annulla il titolo di studio conseguito decenni prima in modo da privarlo di un requisito necessario alla candidatura, il ripetersi di questi episodi lascia molto da pensare e soprattutto fa riflettere sulla solidità delle cosiddette democrazie. L’eliminazione dell’avversario politico sotto forme giuridiche è una pratica che viene regolarmente messa in pista da ogni forma di dittatura – la via più semplice, l’arresto pretestuoso, magari seguìto dalla soppressione in carcere. Più raramente nelle vere democrazie, anche se l’Atene di Socrate sembra essere un ammonimento storico non dappoco. Per una democrazia, che si caratterizzi sui valori fondanti ed ineliminabilidella libertà e del pluralismo, la cosa si presenta alquanto più grave.
La scienza della politica, come anche la filosofia della politica sanno bene che uno degli snodi più difficili da affrontarenei regimi che si distinguono per la difesa delle libertà, è proprio l’identificazione della linea varcata la quale la democrazia ha diritto di sopprimere l’avversario: sopprimere, ovviamente, in senso metaforico, interdicendogli l’ascesa al potere. Quello che sembra emergere sullo sfondo, nel ripetersi dei sempre più insistenti casi sopra ricordati, è piuttosto che si stia formando l’idea in alcuni luoghi di potere costituito in apparati, che s’abbia il diritto di stabilire quali forze siano ammesse e quali no, non perché davvero presentino rischio per la stabilità dello Stato, ma perché le scelte politiche che si propongono, le alleanze che perseguono, le basi sociali che le fondano sono ritenute indegne, non suscettibili di superare il giudizio della virtù.
E questo è molto pericoloso, non solo perché mette in discussione radicalmente il criterio democratico, ma anche perché finisce col peggiorar le cose, radicalizzando opposizioni, sviluppando forti sentimenti reattivi e consolidando quello che si vorrebbe reprimere. Anzi, rischiando di renderlo ancor più estremo, attraverso tentativi d’emarginazione che difficilmente vanno in porto, sempre che il sistema si mantenga democratico. La virtù, se di virtù si tratta, fa proseliti con l’esempio del buon governo, non con la soppressione dell’idea avversata: generalmente queste strategie – se non condotte sino all’estremo esito – producono il risultato contrario, rendendo ingestibili legittime aspirazioni ideali e materiali.
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