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Liberi dai debiti anche senza soldi: svolta per i più fragili

Chi è caduto in miseria per una malattia, un licenziamento, una catena di eventi drammatici che non ha scelto, non può essere condannato all’ergastolo economico

Liberi dai debiti anche senza soldi: svolta per i più fragili

C’è una parola che più di ogni altra è mancata nel lessico della giustizia economica italiana degli ultimi decenni: umanità. Il provvedimento del Tribunale di Crotone del 31 maggio scorso, con cui una madre disoccupata e con un figlio disabile è stata liberata completamente dai debiti, senza avere né beni né reddito, rappresenta una svolta epocale, non solo giuridica ma culturale. Per la prima volta in Calabria, grazie all’articolo 283 del Codice della Crisi d’Impresa così come riformato dal correttivo ter, si è fatta piena applicazione di una norma che guarda in faccia la povertà e non la considera una colpa. Non è retorica: in un Paese dove oltre cinque milioni di persone vivono in condizione di sovraindebitamento — spesso per cause che sfuggono completamente alla loro volontà — il riconoscimento giuridico del diritto a una seconda possibilità assume il valore di un riscatto civile.

È giusto che chi ha agito con dolo o furbizia paghi fino all’ultimo euro. Ma chi è caduto in miseria per una malattia, un licenziamento, una catena di eventi drammatici che non ha scelto, non può essere condannato all’ergastolo economico. È questo il messaggio forte che arriva dal giudice Emmanuele Agostini, che ha firmato il provvedimento RG EDI 1/2025: la legge può essere non solo strumento di equità, ma anche leva di dignità. Non si tratta di buonismo, ma di civiltà giuridica. L’esdebitazione per incapienti non è un regalo, ma un atto di giustizia sostanziale. E prevede comunque un principio di responsabilità: se nei tre anni successivi dovessero entrare risorse economiche (un lavoro, un’eredità), parte di esse andrà ai creditori. Un patto onesto, umano, sostenibile.

È successo qualcosa che altrove — ancora troppo spesso — si ritiene impossibile: si è guardato oltre le carte, oltre i numeri, per vedere le persone. Ora la sfida è che questa pronuncia non resti un unicum ma diventi precedente virtuoso, imitato da tutti i tribunali italiani. Il Mezzogiorno, dove la fragilità economica è più profonda, ha bisogno di strumenti come questo. Di leggi che non puniscono la povertà, ma la curano. Di sentenze che non danno solo torti e ragioni, ma restituiscono speranze. Non è solo una questione di norme: è una questione di giustizia sociale. E da Crotone, finalmente, ci arriva un segnale forte e chiaro: essere poveri non significa essere colpevoli. E oggi, almeno per qualcuno, ricominciare non è più un sogno impossibile.

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