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14 Luglio 2015 - 20:35
Respinto il ricorso di un padre condannato:
non è abuso di mezzi di correzione ma maltrattamenti
ROMA. I figli non si educano a suon di botte. Lo ricorda la Cassazione con una sentenza nella quale intima lo stop a metodi violenti a scopo educativo. «L’eccesso di mezzi di correzione violenti concretizza il reato di maltrattamenti in famiglia e non rientra nella fattispecie» che sanziona l’abuso dei mezzi di correzione «neppure ove sostenuto da “animus corrigendi” poichè l’intenzione soggettiva non è idonea a fare rientrare nella fattispecie meno grave una condotta oggettiva di abituali maltrattamenti, consistenti in continue umiliazioni, rimproveri anche per futili motivi, offese e minacce, violenze fisiche».
A fare scendere in campo in modo perentorio i giudici di piazza Cavour, il caso di un padre ultracinquantenne di Pordenone condannato dalla Corte d’appello di Trieste ad un anno e otto mesi di reclusione per i reati di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali aggravate in danno del figlio minorenne. Inutile il ricorso dell’uomo in Cassazione volto ad attutire la sua posizione (abuso dei mezzi di correzione anzichè il reato di più grave di maltrattamenti) sulla base che, a detta della difesa, la sua condotta era volta «unicamente all’esercizio, pur se in ipotesi eccessivo, dello “ius corrigendi”» e quindi avrebbe dovuto tutt’al più essere sanzionata in maniera più lieve. La Suprema Corte ha bocciato la tesi difensiva e ha reso definitiva la condanna nei confronti del padre manesco.
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