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03 Maggio 2019 - 14:01
"Sono 1.020 i comuni italiani che applicano l’imposta di soggiorno o la tassa di sbarco, con un gettito complessivo che nel 2019 si avvia a doppiare la boa dei 600 milioni di euro". Lo annuncia il presidente di Federalberghi Bernabò Bocca, nel corso della relazione di apertura della 69a assemblea generale di Federalberghi, che si apre oggi a Capri, e che proseguirà domani con la partecipazione del ministro del Turismo, Gian Marco Centinaio.
La maggior parte dei comuni che applicano la tassa di soggiorno sono montani, seguono le località marine e quelle collinari. Le città d’arte sono 'solo' 104, ma comprendono le cosiddette capitali del turismo italiano, che muovono grandi numeri. Ultime le destinazioni lacuali e termali. Geograficamente sono distribuiti, per la gran parte, nel nord est, seguiti dal nord ovest. Fanalino di coda il centro che distacca il Mezzogiorno di qualche punto percentuale.
I NUMERI - Nel 2017, i comuni italiani hanno incassato circa 470 milioni di euro a titolo di imposta di soggiorno e imposta di sbarco. Il dato è in progressivo aumento: il gettito nazionale accertato era di a circa 162 milioni di euro nel 2012 e 403 milioni nel 2015. Per il 2019, si può stimare un introito di oltre 600 milioni di euro. Il trend è generato sia dalla costante crescita del numero di comuni che applicano l’imposta sia dai cospicui aumenti delle tariffe.
ROMA AL TOP - E' Roma la città che ha incassato il maggior gettito derivante dall'imposta di soggiorno, con un incasso pari a 130 milioni. L’incasso delle prime quattro città, ovvero Roma, Milano, Venezia e Firenze, è superiore a 240 milioni, oltre il 58% del totale nazionale. Nella top ten, a seguire, al quinto posto figura Rimini, seguita da Napoli, Torino, Bologna, Riccione e Verona.
Il peso delle grandi città si fa sentire anche sulla classifica regionale, guidata dal Lazio con quasi 135 milioni di euro. Seguono il Veneto con 63,7, la Lombardia con 59,5 e la Toscana con 57,4. In queste quattro regioni viene raccolto il 67,1% del gettito complessivo. Non appaiono in graduatoria il Friuli-Venezia-Giulia, dove l’imposta è stata introdotta nel 2018, e il Molise, in cui l’imposta era stata istituita dal comune di Termoli, ma poi è stata soppressa in seguito ad una sentenza del Tar.
LE DIFFERENZE - Il governo non ha mai adottato il regolamento quadro che avrebbe dovuto fissare i principi generali per l’imposta di soggiorno, evidenziano gli albergatori - e in assenza di una regola, i comuni si sono mossi in ordine sparso, generando un quadro confuso. Per esempio, una famiglia di tre persone che soggiorna in un albergo a tre stelle per due giorni a Roma paga 24 euro per l'imposta di soggiorno, a Venezia 17,40 euro, a Rimini 12 euro, a Catanzaro 7,80 euro e a Bibione 6,30 euro.
"Non è tollerabile il far west che si registra nel settore delle locazioni brevi. La legge ha stabilito che i portali devono riscuotere l’imposta di soggiorno dovuta dai turisti che prenotano e pagano attraverso le piattaforme, ma Airbnb assolve a tale obbligo solo in 18 comuni su 997", sottolinea Bernabò Bocca.
"Per di più, queste amministrazioni, allettate dalla prospettiva di nuovi introiti, - incalza il presidente di Federalberghi- si sono rese disponibili a sottoscrivere un accordo capestro, accettando un sistema di rendicontazione sostanzialmente forfettario, che non consente un controllo analitico e induce a domandarsi se non si configurino gli estremi di un danno erariale" conclude Bocca.
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