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Psr Campania, come buttare i fondi europei

Psr Campania, come buttare i fondi europei

La Regione Campania ferma lo sviluppo dell’intero comparto agricolo con rimandi, pasticci e scandali

NAPOLI. Continua l’odissea del Psr Campania. Neanche la pausa per il Covid-19 è riuscita a sbloccare la situazione di impasse nella quale ormai da due anni giace il sistema dei fondi strutturali per l’agricoltura. L’ultima puntata della telenovela è andata in onda proprio in pieno lockdown con la pubblicazione degli elenchi provinciali delle domande immediatamente finanziabili per il Progetto Integrato Giovani, un atto che, se agli occhi dei non addetti ai lavori, potrebbe apparire come un passo in avanti, da molti è invece giudicato come il primo passo verso un nuovo Vietnam. Le ultime critiche in ordine di tempo sono giunte dai Dottori Agronomi della Campania che in una lettera aperta, da molti giudicata dai toni fin troppo diplomatici e conciliativi, indirizzata al Presidente De Luca e al Consigliere Caputo parlano di “(…) forti criticità (…) ben lontane dall’essere risolte, nonostante i due anni passati dalla presentazione dei progetti (…)”. Gli Agronomi campani lamentano una gestione farraginosa e poco lineare. La nostra testata si sta occupando da tempo del Psr Campania: siamo stati tra i primi a segnalare molte carenze in ordine alle procedure messe in piedi dalla Regione e ad accendere i riflettori sulle tante aree grigie della gestione di Alfieri prima e di Caputo ora. Sul finire della scorsa estate, gli uffici provinciali iniziano a pubblicare delle graduatorie provvisorie della cosiddetta misura Pig. Caputo ha bisogno di poter dimostrare che con lui alla guida la macchina del Psr è più veloce e come fatto per la 4.1.1 impone una data ultima per la pubblicazione delle graduatorie, senza dare troppa importanza a chi dagli uffici periferici gli fa notare che a causa della gigantesca mole di lavoro pendente, non sarebbe stato possibile garantire istruttorie approfondite. E infatti, istruttorie non fatte o fatte male, segnalazioni di anomalie e forzature e centinaia di richieste di riesame ad ingolfare il già zoppicante sistema di gestione del Psr, sono l’eredità di quella scelta scellerata di Caputo. Per salvare la faccia la Regione ordina che le pratiche vadano istruite ma, sapendo che la dotazione finanziaria non garantirà la copertura di tutte le domande, ordina di cominciare da quelle con il punteggio dichiarato più alto. Così arriviamo ai giorni nostri, con la pubblicazione degli elenchi delle domande finanziabili e cioè quelle domande che raggiungono il punteggio “soglia” di 82 punti. Se si confrontano questi elenchi con le graduatorie pubblicate tra l’estate e l’autunno 2019, balza subito all’occhio che le domande con punteggio pari o superiore a 82 a Salerno passano da 95 a 68 (-28%), ad Avellino da 168 a 105 (-38%) e a Benevento da 56 a 28 (-50%). La domanda sorge spontanea: cosa sarebbe accaduto se nessuno avesse segnalato a suo tempo determinate anomalie e la Regione non fosse corsa ai ripari chiedendo una integrazione di istruttoria? Il dato è significativo, la Regione ha in pratica messo nero su bianco che senza queste segnalazioni sarebbero potute essere ammesse e potenzialmente finanziate 118 aziende che, a quanto pare, non avevano i requisiti per occupare quella posizione, per i casi di riduzione del punteggio, o non avevano i titoli per essere inserite in graduatoria. Parliamo, nel complesso, di quasi quattro istruttorie su dieci inizialmente chiuse con degli errori: un dato di assoluta gravità che certifica una volta di più le grosse lacune già emerse per la 4.1.1 nel sistema di autocontrollo della Regione Campania che, a questo punto, ha definitivamente perso di autorevolezza e credibilità. Oggi ognuno è legittimato a nutrire sospetti sulla correttezza di qualunque graduatoria Psr, nessuna esclusa. Sugli importi più alti un dato su tutti: ad Avellino le prime dieci pratiche assorbono 900mila euro a fronte di progetti per 480mila euro. Stiamo parlando di una spesa media di appena 48mila euro ad azienda. Il progetto medio a Salerno ha un valore di 50mila euro, mentre a Benevento il valore medio delle prime dieci domande è di quasi 2 volte e mezzo maggiore, ben 115mila euro ad azienda. Questo vuol dire che ad Avellino e Salerno ognuna delle aziende del nostro campione riceverà 90mila euro per investirne circa 50mila, il 55%; mentre a Benevento ogni azienda riceverà 180mila euro reinvestendone il 65%. Vale la pena fare alcune considerazioni, da profani, per carità, non da tecnici: è strategico per la Regione investire su aziende che hanno pianificato progetti di sviluppo con importi tanto risibili considerando il regime di sostegno tanto incoraggiante? Di questi progetti, che nella stragrande maggioranza dei casi e con assoluta probabilità prevedono solo l’acquisto di una trattrice e dell’attrezzatura “premiante” e cioè di quella strettamente necessaria per vedersi attribuito questo o quel punteggio, quanti sono realmente innovativi, faranno sviluppo, creeranno posti di lavoro? Qual è a questo punto il senso di clusterizzare due bandi (6.1.1 e 4.1.2) se alla fine sono state premiate le aziende che hanno chiaramente concorso con il solo intento di accaparrarsi i 50mila euro di premio una tantum e che sono destinate a scomparire appena scadranno i 5 anni di impegno? La percezione è che gli uffici periferici, tirati per la giacchetta alcuni, favoriti altri, abbiano istruito in modo superficiale le domande. E fermiamoci qui.

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