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Hotel Taburno: rifatto e abbandonato, 3,6 milioni sprecati

Hotel Taburno: rifatto e abbandonato, 3,6 milioni sprecati

Di proprietà della Regione Campania, ricostruito con i soldi dell’Ue e poi dimenticato. La Comunità montana lo reclama ma da Napoli nessuna risposta. Intanto va tutto in malora

Non occorre allontanarsi molto da Montesarchio per trovare un'altra incredibile, assurda “cattedrale nel deserto”, costata anche questa milioni di euro alla comunità. Dopo la discarica di “Tre Ponti” che attende di essere bonificata dal 2009, il surreale centro polisportivo completato nel 2015 e lasciato marcire alle intemperie, lo scheletro della piscina intercomunale abbandonato alle erbacce dal 2009, il colossale buco nel piazzale del Castello, proprio all'ingresso del Museo Archeologico del Sannio, che doveva ospitare due ascensori e i cui lavori sono fermi dal 2010, tutte “opere” che sono uno sfregio al buon senso, di cui abbiamo trattato nelle precedenti puntate, oggi facciamo una passeggiata nel Parco regionale del Taburno. La porta di ingresso al massiccio montuoso ricoperto da splendide faggete è proprio il comune di Montesarchio, ma il territorio del Parco ricade per la maggior parte nei comuni di Tocco Caudio, Bonea e Frasso Telesino. Due istituzioni presidiano o, per meglio dire, dovrebbero presidiare la montagna cara ai sanniti che fu riserva di caccia dei Borbone: la Comunità montana e l'ente Parco. Salendo i tornanti che dalla Valle Caudina conducono alle faggete, dopo circa dodici chilometri si incontra un fantastico edificio che sembra uscito dritto dritto da un film di Wes Anderson. È l'ex Hotel Taburno, oggi magnificamente ristrutturato con i soldi dell'Unione Europea e della Regione Campania. E ovviamente abbandonato al suo naturale destino: la rovina. Pare che da queste parti stia diventando una specie di abitudine o, se vogliamo, una sorta di competizione agonistica: vince chi spreca più soldi pubblici senza realizzare un bel niente. E nel Sannio sembra proprio che siano degli incontestabili campioni in questa nuova disciplina sportiva.

I VECCHI FASTI DELL'HOTEL TABURNO

Ma le cose non sono sempre andate così. L'- Hotel Taburno sorse negli anni '50 come parte di un progetto per valorizzare il turismo, assieme alla strada che attraversa la faggeta per poi unire le tre valli che circondano il massiccio del Taburno-Camposauro: la Caudina, la Telesina e la Vitulanese. Si trattava di un grande edificio a tre piani in stile alpino, con un vasto piazzale panoramico. Il piano terra adibito a bar e rifugio, il primo piano a ristorante con sala ricevimenti, il secondo ad albergo. L'intera struttura, all'epoca di proprietà dello Stato, fu data in gestione alla famiglia Cecere, di Montesarchio, che ne fece un locale accorsato in tutta la provincia di Benevento e anche oltre. Negli anni '60 e '70 l'Hotel Taburno conobbe un buon successo, soprattutto grazie alle cerimonie. Ogni fine settimana, dalla primavera all'autunno, si celebravano feste di matrimonio e prime comunioni. E la domenica il bar era anche un punto di ritrovo per le popolazioni delle tre valli circostanti che salivano a gustare un caffè o un gelato nel fresco della faggeta, magari dopo aver fatto una braciata nelle vicine aree pic-nic. Solo d'inverno le attività dell'hotel rallentavano, sommerso com'era molto spesso dalla neve. Poi arrivarono gli anni '80 e l'Hotel Taburno chiuse tristemente i battenti. Inesorabilmente la struttura andò in rovina. Negli abitanti delle valli rimasero i ricordi piacevoli di tante domeniche passate lassù, e il rimpianto per un'occasione di sviluppo e di turismo che non c'era più.

GLI SFORZI DELLA COMUNITÀ MONTANA

Nel frattempo l'intera struttura era passata nella proprietà del Demanio della Regione Campania, che se ne disinteresserò per lunghi anni. Fu invece la Comunità Montana del Taburno a cercare a più riprese di riportare in vita l'edificio per stabilirvi qualche attività di richiamo turistico. Il primo a pensarci fu l'allora presidente della Comunità Montana Libero Maria Sarchioto, assessore del Comune di Moiano, nel 2010. La sua idea era di ristrutturare l'albergo per rifare un ristorante da dare in concessione a privati, com'era una volta. Ma la Regione da questo orecchio non sembrava sentirci. In più, occorreva trovare i fondi. Spulciando bandi e norme di legge, ci si accorse che i soldi potevano venire dal Fondo Regionale di Sviluppo dell'Unione europea. Ma non certo per fare una struttura alberghiera e tanto meno un ristorante. Serviva una finalità sociale. Così nacque il progetto di ristrutturare l'ex Hotel per farne un centro polifunzionale. Polifunzionale a che cosa nessuno lo sapeva bene, ma all'Unione europea, come si dice, bastava la parola. In teoria, si scrisse nel progetto, all'interno della struttura avrebbero potuto trovare ospitalità le attività di enti senza scopo di lucro rivolte alla valorizzazione del territorio, al volontariato e simili. Cose, insomma, che non portano denari. Per mantenere un centro del genere, però, i denari servono.

I LAVORI CON I SOLDI DELL'UNIONE EUROPEA

Come spesso accade, si pensò di procedere “step by step”. Intanto usiamo i soldi che ci sono per ristrutturarlo. Per vedere come gestirlo e cosa farne c'è sempre tempo. La Regione diede l'ok al progetto, i soldi da utilizzare furono quantificati in 3,6 milioni. L'incarico di svolgere l'appalto e realizzare i lavori viene affidato dalla Regione alla Comunità Montana del Taburno. Mentre il Comune di Bonea, sul cui territorio ricade l'edificio, era competente per le procedure e le autorizzazioni urbanistiche. Intanto, dal 2014 al vertice della Comunità c'era un nuovo presidente, Carmine Montella, all'epoca sindaco di Paolisi. Finalmente, nel 2015, partono i lavori di abbattimento della struttura esistente per la successiva ricostruzione. Proprio alla fine di quell'anno cambia ancora il presidente della Comunità Montana, al posto di Montella arriva Giacomo Buonanno, sindaco di Moiano. I lavori procedono con qualche lentezza, ma procedono. Nel 2018 il nuovo Hotel Taburno, pardòn, il “Centro polifunzionale” del Taburno è completato. L'ampio piazzale è completamente ripavimentato, la nuova struttura ha una minuscola piscina al piano terra con stanze per uffici e reception, mentre al primo piano ci sono cinque camere, ognuna con bagno e balcone, che non si sa bene a cosa servano in un centro polifunzionale se non ad alloggiare degli ospiti di una eventuale struttura ricettizia. Il secondo piano è quasi interamente occupato da un ampio salone, tipo centro congressi o sala ricevimenti. In quello che un tempo era il solaio, con il tetto spiovente, un altro ambiente unico, forse per convegni o cose del genere. Sul retro, su un piano rialzato, altri locali sormontati da una ampia terrazza che affaccia sulla faggeta. La struttura è completata da un ascensore interno e da un locale per l'impianto di riscaldamento a gas. Una cancellata chiude l'accesso dalla strada. E quel cancello, purtroppo, non sarà mai aperto. Almeno fino ad ora.

IL CENTRO POLIFUNZIONALE CHE NON FUNZIONA

Spesi i soldi europei e finita l'opera, infatti, il nodo di cosa farne viene al pettine. E lì resta incagliato. Per la verità, la Comunità Montana del Taburno un tentativo lo fa. Bandisce un concorso rivolto ad enti no profit, anche in associazione tra loro, per destinare la struttura nuova di zecca ad usi socio-culturali con particolare riferimento alla promozione delle risorse naturali e dei prodotti locali. Ma mentre si svolgono le procedure, qualcuno fa notare all'ente montano che non ha alcun titolo per dare in gestione l'ex Hotel Taburno. Semplicemente perché non è suo, ma della Regione. E le interlocuzioni con gli uffici di Palazzo Santa Lucia non aiutano a sbrogliare la matassa di competenze. Anzi. Il “Roma” è in possesso di una nota scritta il 13 agosto 2020 dalla “Direzione Generale Risorse Strumentali” della Regione Campania che in sostanza diffida la Comunità Montana, completati i lavori, a mantenere il possesso o la gestione dell'immobile, perché si tratta di “un cespite di proprietà regionale” e solo la Regione può decidere cosa farne. A tal punto, che la Comunità Montana deve anche togliere il servizio di guardiania che aveva affidato ai suoi dipendenti. Sui lavori di ristrutturazione svolti, intanto, indaga anche la Procura di Benevento. La Guardia di Finanza sequestra la documentazione sia presso il Comune di Bonea sia presso gli uffici della Comunità Montana a Frasso Telesino. A quanto risulta al “Roma”, però, l'inchiesta della magistratura sannita si è conclusa senza ravvisare reati. A sollecitare nuovamente l'autorità giudiziaria, ma per tutt'altre ragioni, sarà recentemente proprio la Comunità Montana. L’attuale presidente, il sindaco di Tocco Caudio Gennaro Caporaso, subentrato a Buonanno nel dicembre del 2021, ha presentato ai carabinieri un esposto-denuncia, segnalando lo stato di colpevole abbandono della struttura, l'incuria, il decadimento e gli atti di vandalismo a cui sta andando tristemente incontro.

E L'EDIFICIO TORNA A CADERE A PEZZI

Già, perché mentre negli uffici regionali si sono evidentemente dimenticati di essere proprietari di una struttura che è stata riportata a nuova vita al prezzo di 3,6 milioni di euro sonanti, oppure stanno profondamente meditando da cinque anni sull'utilizzo da dargli, il nuovo Hotel Taburno comincia a cadere a pezzi. È vero, infatti, che il cancello che sbarra l'ingresso dalla strada è chiuso a chiave. Ma dai vari sentieri che passano attorno alla struttura, peraltro segnalati dal Cai, si accede direttamente sul piazzale senza incontrare sbarramenti o divieti. E le porte a vetro dell'edificio, sia quelle sul piazzale sia quelle sul retro, sono tranquillamente aperte. Cosicché chiunque può introdursi e fare un giro di ricognizione dell'edificio, e magari portarsi via un “souvenir”, visto che nella struttura sono presenti, non si capisce bene perché, tavoli e sedie da ufficio, oltre a impianti elettrici e idraulici, sanitari e rubinetteria, estintori e persino un divano. Libero accesso hanno anche gli animali del bosco, oltre ai vandali e ai saccheggiatori. E peraltro se un ragazzino poco accorto andasse per gioco a curiosare, potrebbe anche farsi del male, visti i tanti potenziali pericoli presenti. Di chi sarebbe in tal caso la responsabilità? Lo stato in cui si trova oggi l'ex Hotel Taburno, a cinque anni dalla sua ristrutturazione potete comprenderlo bene dalle foto che pubblichiamo. Persino la pavimentazione del piazzale e del terrazzo, così come il rivestimento ligneo della parete est dell'edificio, stanno andando in rovina. Dentro, i cavi elettrici e parte dei servizi igienici sono stati divelti, le pareti in cartongesso sfondate, la controsoffittatura è a pezzi in più punti, apparentemente si direbbe che ci siano pure infiltrazioni di acqua piovana. Oltre tre milioni e mezzo di euro spesi per rinnovarlo, e questo è il risultato. Senza per di più produrre alcuna utilità per le popolazioni dei comuni circostanti. E pensare che, tra le altre cose, l'immobile ricade pure nel territorio del Parco regionale del Taburno-Camposauro, candidatosi recentemente al riconoscimento di “Global Geopark” dell'Unesco. Sì, ma con un ecomostro al suo interno. Che, paradosso dei paradossi, appartiene proprio all'ente che ha istituito il Parco regionale. Come se uno mettesse al centro del proprio giardino un cassonetto dell'immondizia. Peraltro, la struttura ben potrebbe essere utilizzata come centro di accoglienza, assistenza e informazione per i turisti che vengono a visitare il Parco del Taburno. Già, ma a proposito, l'Ente Parco si è mai occupato della destinazione dell'ex Hotel Taburno? Pare che fino ad oggi non ne abbia avuto il tempo, o l'interesse.

OPERE FANTASMA, UN BILANCIO DISASTROSO

Noi per il momento ci fermiamo qui. Alla fine delle tre puntate del “Roma” dedicate alle opere incompiute della Valle Caudina, il bilancio è a dir poco sconsolante. Tra i 4 milioni che dovevano essere destinati al centro polisportivo di “Tre Ponti”, i 6 milioni che la Regione aveva messo da parte per il centro storico di Montesarchio (ascensore, parcheggi e tapis-roulant), i 7 milioni spesi fino ad ora per smaltire il percolato della discarica dei “Tre Ponti” invece di bonificarla, i 2,5 milioni che dovevano servire per costruire una piscina intercomunale nella frazione di Varoni, i 3,6 milioni buttati nella ristrutturazione dell'ex Hotel Taburno, trasformato in un centro polifunzionale che nessuno fa funzionare, si arriva a un totale di oltre 23 milioni di euro di cui la comunità poteva beneficiare in questi anni. Sono stati spesi solo in parte e quella parte è stata pure spesa male, per realizzare opere che non sono mai state completate o che, una volta finite, non sono mai state aperte al pubblico e stanno adesso andando in malora. Uno spreco di soldi pubblici che non solo non ha reso alcun servizio alla cittadinanza, ma gli ha soltanto sottratto risorse che forse era meglio non spendere del tutto o distribuire direttamente alla popolazione più bisognosa, invece di realizzare inutili “cattedrali nel deserto”. E c'è un'ultima statistica da notare. Uno studio che ha raccolto l'anagrafe delle opere pubbliche incompiute ne contava, nel 2014, ben 868 in tutta Italia. Noi ne abbiamo contate cinque nel territorio di soli due comuni, Montesarchio e Bonea, che assieme hanno una popolazione di 14.300 abitanti distribuiti su 30 km quadrati, pari ad appena lo 0,012% del territorio italiano. Ebbene, in questo piccolo fazzoletto di povera Patria, queste cinque opere incompiute ammontano alla bellezza dello 0,58% del totale nazionale. Poco meno dell'1%. Probabilmente si tratta di un vero record. Di cui non andare fieri. Qui abbiamo solo raccontato i fatti per come si sono svolti, sulla base delle testimonianze e degli atti che siamo stati in grado di raccogliere, e abbiamo mostrato le foto di una realtà che senza le immagini si stenterebbe a credere vera. Non tocca a noi, invece, accusare nessuno o individuare le responsabilità per quanto accaduto. Per questo esistono le apposite “autorità competenti”. Solo che anche quelle, da queste parti, non sembrano essere state abbastanza solerti.

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