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03 Novembre 2023 - 14:57
Il turismo storico-archeologico del Sud è polarizzato in misura decisa sulla Campania e, in particolar modo, sulla provincia di Napoli che da sola assorbe il 67% circa di tutti i visitatori del sistema museale ed architettonico-monumentale del meridione ed è, con i suoi oltre 3,5 milioni di visitatori, seconda soltanto a Roma, distanziando persino i 2,5 milioni di visitatori di Firenze. È il dato che emerge dalla ricerca “Il valore aggiunto del brand Unesco sui territori” a cura di Srm, Centro studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo presentata oggi alla XXV Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico nel corso della conferenza “I Comuni archeologici Unesco per un turismo culturale esperienziale e sostenibile”, promossa nell’ambito della Celebrazione del 25° Anniversario del Sito Unesco di Paestum in collaborazione con l’Associazione nazionale comuni italiani. Nel 2022 la spesa turistica degli stranieri in Italia torna ai livelli pre-Covid, con un trend costantemente crescente, ma solo 7,4 miliardi dei 44,3 spesi in Italia da viaggiatori internazionali, ovvero meno del 17%, ricadono nel Mezzogiorno, benché 12 dei 45 siti archeologici Unesco, ovvero circa il 27%, siano concentrati al Sud. “Già da tale dato molto generale di discrepanza fra quota di spesa e quota di offerta di siti Unesco -ha spiegato Salvio Capasso, responsabile Servizio Imprese e Territoriodi Srm- si riscontra una difficoltà di sistema da parte del Mezzogiorno nell’attrarre dall’estero una spesa turistica all’altezza della numerosità ed importanza dei suoi siti”. Per quanto invece riguarda lo specifico segmento storico-archeologico relativo ai visitatori dall’Italia e dal resto del mondo, dalla ricerca emerge che il Mezzogiorno ha una parte adeguata rispetto al 27% di aree Unesco storico archeologiche riconosciute: il 30% dei visitatori ed il 27% degli introiti totali. “Ciò significa che è soprattutto il flusso di turisti italiani ad innalzare le performance del sistema museale ed archeologico meridionale -ha evidenziato Capasso- in particolare, in termini di numero di visitatori nel 2021, grazie alla sua offerta storico-archeologica molto articolata il sistema museale e monumentale-archeologico campano è secondo soltanto al Lazio, superando regioni molto rinomate come la Toscana o il Veneto. La Campania assorbe, però, più dell’80% dei flussi di turismo storico-archeologico del Mezzogiorno, con le altre regioni del Sud in posizione del tutto secondaria: la Puglia è solo nona, la Sardegna undicesima, seguita da Calabria e Basilicata, Molise ed Abruzzo sono i fanalini di coda. È ovvio che l’area di Pompei ha una funzione catalizzatrice assolutamente primaria. Un’altra caratteristica di questa tipologia turistica è quella di una stagionalità che, seppur molto meno marcata rispetto a quella del turismo generale, è comunque esistente, con i visitatori che si concentrano soprattutto nel trimestre estivo, con un minimo fra marzo ed aprile”.
Circa l’impatto complessivo dei siti Unesco sul territorio e il peso del riconoscimento Unesco come fattore di sviluppo locale, alla fine del lavoro di ricerca risulta ancora controverso. “Quello che si può dire con un certo grado di certezza -ha spiegato Capasso- è che il riconoscimento Unesco ha un forte potenziale di attrazione/generazione di investimenti di difesa, protezione/recupero del bene storico/archeologico riconosciuto, ma assunto da solo potrebbe non generare ricadute significative sul tessuto produttivo direttamente legato al turismo se non come tassello di una strategia di sviluppo più ampia associato a politiche attive”.
Concentrandosi sulla dimensione economica, la maggiore attrattività turistica derivante ad esempio dalla valorizzazione dei siti Unesco mediante un’adeguata politica di sviluppo determina un rilevante impatto sul Pil. Dall’ultimo aggiornamento di Srm risulta che l’Italia, a parità di spesa, per ogni presenza turistica aggiuntiva nel Paese, genera 144 euro di valore aggiunto e, nel caso del turismo culturale, tale valore sale a 145 euro. La capacità endogena di creazione di ricchezza, in relazione all’aumento di presenze turistiche, cambia quindi in base alla tipologia di turismo. Pertanto, il turismo culturale attiva più ricchezza rispetto a quello balneare (145 euro contro 128 euro), ma il moltiplicatore continua a crescere se si considera il turismo sostenibile (150,6 €), enogastronomico (151,7 €) ed ancor più quello d’affari (176,6 €). “È evidente -ha concluso Capasso - che lo sviluppo di un sistema turistico integrato nell’ambito di un sito Unesco che sfrutti le sinergie organizzative e «produttive» con i settori attigui (come l’enogastronomia), accresca la potenzialità economica del turismo. Ciò vale, in modo particolare per il Mezzogiorno, caratterizzato da un’ampia offerta di siti archeologici Unesco ma da un moltiplicatore di 131,7 euro, ancora distante dal dato nazionale, anche se in recupero nell’ultimo decennio. In particolare, negli anni 2010-2019 è cresciuto dell’86%, valore più alto rispetto alla media nazionale (+39%), risultato di una migliore strutturazione del sistema turistico che è riuscito ad adeguarsi alle nuove tendenze rilasciando, quindi, una più intensa propagazione economica sul territorio”.
Dalla Bmta e dalle sue conversazioni annuali possono pertanto partire i nuovi modelli di valore, autenticità e integrità che sono le caratteristiche del nuovo modo di valutare i luoghi degni di entrare nelle liste dell’Unesco. E’ questo il messaggio dell’Unesco, portato dal già vice direttore generale per la Cultura Mounir Bouchenaki (nella foto). “Il percorso è cambiato dal 1979, quando il riconoscimento andò all’Arte Rupestre della Val Camonica. Oggi, senza abbandonare il valore universale dei luoghi, è un percorso che parte dal basso, dalla capacità e dalla voglia di fruire dei luoghi da parte delle popolazioni, che per ottenere questo riconoscimento compiono un lungo e non solo di raccolta dati e testimonianze”.
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