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19 Novembre 2023 - 10:09
I tre camerieri di un hotel di Lacco Ameno non testimoniarono il falso contro Antonio Esposito. La toga in pensione li aveva anche denunciati in Procura, accusando loro e l’avvocato Larosa di vari reati, ma per Pm
e Gip sono tutti innocenti
NAPOLI. Ennesima sconfitta in giudizio per l’ex giudice di Cassazione campano Antonio Esposito (nella foto), balzato agli onori delle cronache nel 2013 per la sentenza di condanna di Silvio Berlusconi che costrinse l’allora Cavaliere a lasciare il suo scranno di senatore della Repubblica e a scontare una condanna con l’affidamento ai servizi sociali presso un ente di beneficenza lombardo. Dal giorno di quella clamorosa sentenza della Cassazione, in cui Antonio Esposito, oggi pensionato, era il presidente del collegio giudicante, polemiche molto aspre si susseguirono e portarono ad uno strascico di ulteriori processi promossi dall’ex magistrato, di origini salernitane ma trapiantato a Roma, dai quali è uscito quasi sempre sconfitto.
LA SENTENZA. Due settimane fa, l’ennesimo verdetto sfavorevole per l’ottantatreenne giudice in quiescenza è stato pronunciato dal tribunale civile di Roma in composizione monocratica. Il giudizio era stato proposto proprio da Antonio Esposito, che chiedeva di condannare per diffamazione tre cittadini ischitani, residenti a Lacco Ameno. Michele D'Ambrosio, Domenico Morgera e Giovanni Fiorentino, nel 2014, avevano infatti rilasciato delle dichiarazioni molto pesanti contro l’allora alto magistrato, e lo avevano fatto davanti all’avvocato napoletano Bruno Larosa nel corso di indagini difensive svolte per conto e su mandato proprio di Silvio Berlusconi. I tre ischitani erano camerieri impiegati presso un noto hotel di Lacco Ameno, di proprietà dell'allora sindaco Domenico De Siano, all'epoca dei fatti parlamentare nonché coordinatore regionale di Forza Italia.
LE INDAGINI DIFENSIVE. In quell’hotel Antonio Esposito era solito trascorrere le vacanze estive con la moglie negli anni tra il 2007 e il 2010, quindi prima di trovarsi a presiedere la sezione di Cassazione nel processo contro Berlusconi. Nel verbale di indagini difensive l’avvocato Bruno Larosa raccolse, peraltro anche videoregistrandole, le testimonianze dei tre camerieri che raccontavano di aver sentito in più occasioni l’allora magistrato di Cassazione esprimersi con termini molto pesanti nei confronti del fondatore di Forza Italia e dello stesso De Siano, patron dell’hotel in cui pure il magistrato soggiornava.
LE FRASI CONTRO BERLUSCONI. Espressioni di questo tenore: «Quella chiavica di Berlusconi», «ancora li devono arrestare?» (riferito a Berlusconi e De Siano) e persino «a Berlusconi se mi capita l’occasione gli devo fare il mazzo così». Le indagini difensive puntavano su quelle testimonianze per chiedere alla Corte di Giustizia Europea la condanna dell’Italia in quanto nel giudizio della Corte di Cassazione il presidente della sezione giudicante aveva dei pregiudizi nei confronti dell’imputato Berlusconi. Quelle dichiarazioni, rese nel lontano 2014, tornarono però alla ribalta nel 2020 in quanto citate in una trasmissione televisiva. Da qui la causa per diffamazione promossa tre anni fa dal magistrato in pensione, con la quale ha chiesto ai tre camerieri un risarcimento di 150mila euro (50mila a testa) per i danni arrecati alla sua reputazione. Ma il giudice del tribunale di Roma Silvia Albano gli ha dato torto e ha anzi condannato l’ex magistrato di Cassazione a pagare le spese di giudizio ai tre camerieri, nella misura di 4.500 euro oltre al 15% di spese forfettarie e alle imposte.
NESSUNA PROVA DEL FALSO. Per il giudice del tribunale di Roma, infatti, non vi è alcuna prova che i tre abbiano detto il falso, e anzi gli argomenti dedotti in giudizio da Antonio Esposito «non possono neanche in via presuntiva indurre a concludere che i convenuti abbiano testimoniato il falso». Il tribunale romano bolla in questo modo le tesi sostenute in giudizio dall’ex giudice di Cassazione: «Si tratta di valutazioni di natura personale, di circostanze che non si prestano ad un’interpretazione univoca o di presunte anomalie in ogni caso irrilevanti poiché, anche qualora riscontrate, da esse non dipenderebbe, quale logica conseguenza, la falsità delle dichiarazioni rese». Insomma, una stroncatura su tutta la linea per Antonio Esposito, il quale però può ancora proporre ricorso in appello contro la sentenza. Ma vale la pena ricordare che non si tratta della prima volta che Esposito accusa i tre ischitani. Già nel 2019 l’ex giudice Esposito presentò una denuncia penale contro i tre camerieri e, in quell’occasione, anche contro l’avvocato Bruno Larosa.
IL PRECEDENTE. L’ex magistrato sosteneva che i tre avessero commesso il reato di falso giuramento della parte, mentre per Larosa ipotizzò i reati di abuso d’ufficio e usurpazione di funzioni pubbliche, sostenendo che l’avvocato napoletano non poteva compiere le indagini difensive. Anche in quel caso, sia la procura di Napoli sia il Gip del tribunale di Napoli diedero torto all’ex giudice della Cassazione. Non c’era stata l’ombra di alcun reato, la procura chiese l’archiviazione e il Gip, nonostante l’opposizione del denunciante, archiviò. L’avvocato Larosa aveva svolto il suo incarico legittimamente e le dichiarazioni dei tre, scrisse il gip di Napoli Giovanni Vinciguerra, «non possono comunque considerarsi false».
L’ESPOSTO ALL’ORDINE DEGLI AVVOCATI. Ma l’avvocato Bruno Larosa dovette difendersi anche in sede disciplinare, perché l’ex giudice Esposito presentò un esposto contro di lui al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli. Anche in quella sede fu ribadita la correttezza dell'operato dell'avvocato Larosa e smentite ulteriormente le tesi dell’ex toga di Cassazione. Ma l’elenco delle cause intentate dall’ex giudice Esposito contro giornalisti, politici e semplici cittadini per le polemiche seguite alla sentenza Berlusconi è molto lungo, anche se quasi mai paiono aver avuto l’esito sperato. Assolti furono il giornalista e direttore del “Mattino” che pubblicarono una intervista proprio all'Esposito all'indomani della sentenza Berlusconi, tacciata di falsità da Esposito e invece dimostratasi del tutto veritiera per i giudici. Assolta fu Daniela Santanché per i duri giudizi sulla medesima sentenza. Assolto fu anche l’allora direttore del “Foglio” Giuliano Ferrara che quella sentenza definì senza mezzi termini «una schifezza».
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