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l'intervento
13 Giugno 2025 - 10:51
Stavolta l’ingrato compito di imitare Dodge City o Tombstone, leggendarie capitali della violenza western, è toccato a Dugenta, un paese di nemmeno tremila anime a quaranta minuti da Napoli, nel cuore della splendida Valle Telesina. E l’elenco dei fatti di sangue, delle sparatorie e degli accoltellamenti quotidiani, continua ad allungarsi di pari passo con quello delle ragioni sempre più folli che li determinano. Martedì all’inconsapevole appuntamento con un proiettile ci sono andati due ragazzi di trent’anni: P. e I. I due sono a bordo di un’auto. Chiacchierano dopo una serata in cui hanno tirato tardi. Ridono fra loro. Ma nel chiarore incerto dell’alba, un uomo li vede da lontano. Forse la cosa lo rende inquieto perché in passato ha subito furti. Fatto sta che l’uomo imbraccia il fucile, prende la mira e spara.
“Ho pensato che fosse un cinghiale”, dirà poi. I. è gravemente ferito alla mano, P. viene centrato all’addome. Quest’ultimo è un pizzaiolo di talento che da pochi mesi si è messo in proprio con i fratelli: il sogno di una vita. Ma il risveglio da quel sogno è brutale. La dolcezza del primo mattino, il profumo dell’erba ancora umida, il silenzio immacolato dei campi ancora addormentati, si trasformano di colpo in un incubo. E tutt’a un tratto sembra di trovarsi in zona di guerra. Da quelle parti, per quanto folle possa sembrare, non esiste un pronto soccorso attivo di notte, perché quello dell’ospedale più vicino, il Sant’Alfonso Maria de’ Liguori di Sant’Agata dei Goti chiude alle 18, come un ufficio delle Poste. Bisogna andare a Caserta. E si corre là. C’è sangue dappertutto e, mentre sorge il sole, i feriti sbarcano finalmente all’ospedale. Pasquale è in codice rosso e finisce d’urgenza sotto i ferri. Intanto, quei maledetti colpi esplosi nel silenzio non feriscono soltanto la carne delle vittime, ma fanno uno strike di anime innocenti, abbattendo intere famiglie. Lo schock è terribile. La notizia vola sul filo del telefono, già rimbalza sui social. Il paese si stringe intorno alle vittime. Tutti vogliono bene a quei due ragazzi, due figli di una terra che fatica sempre più a tenersi stretti i propri giovani, ai quali quell’amor patrio è costato così caro. I carabinieri intervengono prontamente, ma sono solo una sparuta pattuglia per di più deve servire due paesi, Dugenta e pure Limatola. La gente è sconvolta dal racconto dei fatti.
“Ma perché proprio lui?” “Ma com’è possibile?” È vero, non è possibile: eppure accade lo stesso! E mentre noi ci domandiamo perché nessuno fa qualcosa per prevenire e impedire simili scelleratezze, ai protagonisti scelti dal destino per il dramma, restano interrogativi così grandi da farli sentire naufraghi in mezzo all’oceano: cos’è la disperazione? Cos’è la solitudine? Che senso ha la nostra esistenza? Sono queste le domande che all’improvviso hanno risucchiato un padre e una madre. E la vita, quella vita che quotidianamente ci vede presi da cose senza importanza, ci appare in tutta la sua fragilità crudele. Ma chi ama, non si arrende mai. Eccolo il riscatto: la vita è fragile, ma l’amore invincibile! Allora tutti in trincea, perché, come recita una frase che noi terroni dalla pelle dura abbiamo nel sangue: “Ha da passa’ ‘a nuttata”: è infatti P. lotta, con la forza della sua gioventù, nel suo letto d’ospedale. Lotta M., la sua mamma, quella che ha trasmesso ai figli la passione per la cucina e in particolare per la panificazione, “che è il simbolo della vita”.
E che ora non dorme più, per restare in contatto con il cuore e con la mente con suo figlio anche quando le regole ferree dei reparti intensivi non le consentono di stare in ospedale. E con orgoglio e sovrumana pazienza, lotta anche suo padre, G., ex carabiniere in pensione. Ma c’è ancora una domanda: vogliamo davvero continuare a vivere cosi? Vogliamo davvero tornare al Far West? Una cosa è certa: a nessuno venga in mente di essere spettatore di questi orrori quotidiani, perché P. e I. siamo noi. E a chiunque di noi, in qualsiasi momento, può accadere la stessa cosa.
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