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Regionali: il valzer dei candidati e l’illusione del consenso

Ormai non contano più la coerenza e la visione, ma la prospettiva di rielezione

Regionali: il valzer dei candidati e l’illusione del consenso

Oggi saranno ufficializzate le liste per le elezioni regionali in Campania. Questa tornata elettorale sta mostrando, più che mai, il volto di una politica regionale in continuo movimento: consiglieri uscenti che cambiano schieramento, passano da destra a sinistra e viceversa, si spostano da una coalizione all’altra in una frenetica ricerca di collocazione e sopravvivenza politica. Non è più questione di singole scelte personali, ma di un fenomeno diffuso di transumanza politica, che oggi si manifesta in modo sistematico e plateale, diventando un tratto caratteristico dell'attuale competizione elettorale.
Il cambio di casacca, un tempo percepito come segno di opportunismo, oggi non scandalizza più nessuno. È diventato parte del paesaggio politico, un gesto normalizzato.
Tuttavia, non si era mai assistito a un fenomeno così massiccio e trasversale come quello in corso. Ormai non contano più la coerenza e la visione, ma la prospettiva di rielezione; non l’appartenenza, ma la garanzia di restare nel gioco.
Ogni regola di buon senso sembra essere saltata. La politica, almeno quella regionale ma l’analisi è facilmente estendibile ad ogni livello, appare ridotta a una competizione per la sopravvivenza, dove ogni scelta è tattica e quasi mai ideale.
Eppure, sarebbe troppo facile fermarsi alla condanna morale dei candidati che si ricollocano. In realtà, la loro è una “risposta immunitaria” a un sistema partitico ormai inesistente, una forma di adattamento a un contesto che non offre più punti di riferimento stabili.
Gli attori politici regionali si muovono dentro un vuoto di riferimenti: sanno bene che, venuto meno il sistema tradizionale dei partiti, chi non viene rieletto è semplicemente fuori.
Il mancato rinnovo del mandato equivale oggi a una sorta di espulsione dalla vita politica attiva, poiché non esiste più un partito vero alle spalle, capace di garantire continuità, formazione e partecipazione anche a chi non siede temporaneamente nelle istituzioni.
In questo senso, i consiglieri uscenti che si spostano da una lista all’altra alla ricerca di sopravvivenza non sono la causa del problema, ma il prodotto di un sistema degenerato e autoreferenziale. Di certo, però, essi non ne rappresentano la soluzione anzi, ne perpetuano gli effetti, alimentando la spirale della provvisorietà.
È ormai sotto gli occhi di tutti che, al posto del “classico” sistema dei partiti strutturati, solidi, riconoscibili e caratterizzati da una democrazia interna, operano oggi aggregazioni elettorali effimere e gruppi di potere locali, spesso raccolti intorno al consigliere o al deputato di riferimento, che spostano pacchetti di voti secondo logiche di opportunità.
È una politica che non nasce da un’idea, ma da un calcolo; non si fonda sulla visione, ma sull’occasione. L’effetto di tutto ciò è duplice e devastante: gli elettori, disillusi, disertano le urne; e coloro che sarebbero animati da buone intenzioni, soprattutto tra i più giovani, si tengono alla larga dalla politica.
Ma la circostanza più triste è che, diciamocelo con franchezza, agli attori di questo teatro elettorale interessa ormai ben poco della partecipazione. Il voto “organizzato” — quello garantito dalle reti di fedeltà personali e dai sistemi di potere locali — è comunque assicurato.
L’astensionismo, ormai, non è più un problema ma un dato strutturale, divenuto quasi una componente funzionale al sistema stesso, che si regge su minoranze organizzate e fedeli.
In questo scenario, ciò che scompare è il voto di opinione, cioè l’idea che il voto possa ancora essere espressione di un pensiero libero e di un giudizio politico.
E così, indipendentemente da quale schieramento dovesse risultare vincitore, a perdere saranno comunque i cittadini. Perché a ogni elezione che si riduce a un esercizio di sopravvivenza — e non di rappresentanza — si consuma un ulteriore passo nella crisi della democrazia e del senso stesso della partecipazione politica.

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