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L'intervista
15 Ottobre 2024 - 12:03
Prisco De Vivo con una sua opera
Qualche anno fa il critico e poeta Annibale Rainone quando presentò la mostra di Prisco De Vivo “Affondo celeste” alla Galleria Pagea Arte di Salerno, scrisse “De Vivo riconosce quei segni che a suo avviso il Sacro sceglie oggi per manifestarsi nella storia proponendo un’arte della Fede che è essenzialmente un discorso intorno alla natura dell’uomo d’oggi, delle sue paure e contraddizioni’’.
Secondo le parole del critico, quella di De Vivo è un’opera “Epifanica’’ ebbene se rivolgiamo uno sguardo attento alla sua attuale opera, l'artista si rivolge ad un binomio sempre, più fondante, quello di Umanità e Sacralità. Con le sue intuizioni luminose riesce ad entrare in questo nostro materialistico tempo nelle fenditure più strette, ed impraticabili dell’animo umano. Del suo lavoro si può parlare davvero di un unicum per come è strutturato e per quella difficile sintonia fra arte contemporanea e spiritualità.
Dopotutto va anche considerato che nonostante le condizioni inconciliabili di esprimersi oggi. Con queste tematiche Prisco De Vivo sviluppa un’arte confessionale, un operare iconico a confine tra l’arte del passato e i dettami dell’arte postavanguardista fino ad arrivare a delle rappresentazioni iconiche ed aniconiche. Se vogliamo poi ricordare il percorso artistico di ispirazione religiosa e le attività espositive di questo ultimo anno dell’artista napoletano trapiantato nella bassa Irpinia, va ricordato sicuramente l’opera rilasciata al Santuario del Duomo di Catania ovvero: Sant’Agata nel miracolo dei colori; opera che fece parte della collettiva (Agatarte) a cura di Francesco Gallo.
Poi è susseguito il ciclo “Nada me turbe” a Napoli nel Chiostro di S. Maria La Nova dedicata a S. Teresa d’Avila. “La Vergine Addolorata “o “La Pietà “ (omaggio alle epidemie ) 2002; opere conservate al Museo Stauros di Arte Religiosa Contemporanea (Isola del Gran Sasso - Teramo), fino ad arrivare all’ “Ultima Cena’’ opera ancora incompleta, tela dominata da un azzurro cobalto che rapisce e da un luminoso Gesù Cristo che con il Suo sguardo penetrante cattura ogni tipo di osservatore. Opera ben custodita nel suo atelier irpino Lucis, spazio sito a Quadrelle nella bassa Irpinia, all’interno del Parco Nazionale del Partenio. In una mia pausa pomeridiana dopo un faticosa mattinata lavorativa, alla luce di questi giorni sempre più frenetici e sfuggenti, specie all’incontro con il Signore e alle ispirazioni artistiche, provo ad intervistare l’artista Prisco De Vivo.
Quando si è avvicinato al “Sacro Contemporaneo”?
«Credo che l’opera per cosi dire che mi ha aperto alla bellezza spirituale, non solo in termini artistici sia stata proprio l’opera “S. Agata del miracolo dei colori“ realizzata proprio vent’anni fa grazie all’invito di Francesco Gallo, noto critico storico dell’arte di origine siciliana, l’opera tutt’ora fa parte della collezione permanente del Santuario del Duomo di Catania».
Quali le suggestioni che l'hanno portata a lavorare su queste tematiche? E come è nato ormai il noto ciclo di opere dal titolo “Mistiche “?
«Delle suggestioni, sicuramente, ma anche delle profonde riflessioni sono quasi sicuramente maturate dalle letture dei diari e degli scritti delle mistiche, libri come: “Lettere ad Agnese di Praga” di Chiara D’Assisi, “Il Castello interiore” di Teresa D’Avila, “Visioni” di Idelgarda Von Bingen. E più di tutto debbo sicuramente molto in precedenza ai filosofi come Emil Cioran o Guido Ceronetti che mi hanno fatto approfondire figure come Teresa D’Avila e S. Caterina da Siena. Per quanto invece concerne le tematiche evangeliche, che ho affrontato e affronto in pittura, sono ispirato fortemente dalla pittura di El Greco dal Beato Angelico ed il grande pittore di icone Andrej Rublev. Tenendo sempre ben salda la lettura del Vangelo e la Sacra Bibbia».
Come mai nel 2011 si è stanziato nella Bassa Irpinia e perché ha chiamato il suo studio: Spazio d’arte “Lucis”?
«Proprio il primo decennio del nuovo Millennio, mi stanziai a Quadrelle, in cerca di un rifugio mistico dove operare, ero affascinato nel pensare che in un paesino umile come Quadrelle potesse ispirare e regalarmi al silenzio e alla meditazione. Quello che ammiravo di questo luogo e che in antico tempo aveva avuto a che fare con pellegrini e monaci Benedettini in passaggio per Montevergine. Lucis il mio Art-Studio Gallery è stato una vera e propria scommessa con me stesso, relazionare la chiarità e la luce alla mia arte, non a caso il significato della parola “Lucis” è “di luce”, ebbene catalizzare nel mio spazio operativo quello che a che fare con la luce e la celestità».
A proposito di “Celestità”, mi parli delle sue ultime opere dedicate alla “Vergine Maria” nello specifico quelle 56 tavole dedicate alle “Litanie Lauretane”.
«Sì è vero, ci sto ancora lavorando, è una tematica molto complessa e delicata ma a me molto cara. Rappresentare la Vergine Maria credo che sia una tematica per l’artista fra le più difficili che esistono, dato che significa rappresentare la grazia e la luce della Sua rivelazione. Per quanto riguarda invece le 56 tavole che tuttora sono ancora impegnato a definire, si concentrano sia sull’apparizione della Vergine che sul significato simbolico e concettuale del “Magnificat.” Sulla pregnanza del colore bianco, del blu cobalto e dell’oro, sono i piani dove sono rappresentate tutte le scene che riguardano la Beata Vergine».
Come mai dal periodo pandemico ha lavorato su due opere di ispirazione religiosa proprio nei tuoi territori?
«Che dirti, è successo, non solo per mia volontà ma anche da parte di amministratori e autorità ecclesiastiche. La prima opera è stata “ Cristus Mundator” , la struttura di un Crocifisso in alluminio e ferro ( dedicato a Luisa Piccarreta). L’opera è stata posizionata proprio davanti all’ingresso del Cimitero di Quadrelle. Quest’opera di sera si inonda di luce azzurra. L’altra opera invece è il “ Il Trionfo del Santo Rosario e la sedia del miracolo” omaggio a Pauline Jaricot , la famosa beata francese molto vicina al curato D’Ars ( fondatrice dell’opera della propagazione della fede)».
Mi parli della genesi di questa opera dedicata a Pauline Marie Jaricot.
«L’opera è stata realizzata fra marzo e aprile di questo anno, ma consta circa due anni di studi ed abbozzi sulla sua figura, Su Pauline, ci sono stati diversi incontri e verifiche con l’attuale Rettore del Santuario di S. Filomena , Don Giuseppe Autorino. Va ricordato anche che l’opera è stata posta sulla cappella laterale del Santuario, cappella dedicata interamente alla mistica francese.Nella realizzazione di questa opera rimasi colpito sicuramente dall’espressione angelicata di questa donna di Lione, cercai con non poca fatica di rappresentare il suo volto ,quel volto intriso di dolcezza e mitezza. Direi tutto è partito da dalla sua dolce testa, fino a farlo diventare una vera e propria “Pala Celeste”. Un retablo di vari scomparti, dove si esalta il Santo Rosario che appare nell’oro».
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