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l'opinione
16 Dicembre 2024 - 17:01
Michele Caccamo
NAPOLI. «Con il loro pensiero ordinario hanno provato a raccontare cos’è il caffè a Napoli, senza riuscirci. Hanno provato a giudicare una religione con il righello del laboratorio». Michele Caccamo, scrittore, poeta, paroliere e drammaturgo italiano, con le sue opere tradotte in oltre dieci lingue, replica così alla trasmissione “Report” per il loro servizio televisivo su Napoli e il caffè.
«A quelli di “Report” sia detto senza dubbio: Napoli non ha bisogno di lezioni sulla sua nera poesia liquida, perché è stata capace di trasformarla in arte. Ridurre questa tradizione a un banale, quanto inutile, discorso sulla miscela, sulla tostatura, o sulla preparazione, è come dire che la pizza altro non è che acqua e farina, dunque facile, dunque alla portata di chiunque.
A Napoli il caffè è una scienza sociale. La "cuccuma", la moka, il bar: ognuno ha un ruolo fondamentale nel preservare un rito. Criticare senza capire il valore storico e simbolico dimostra solo la volontà di killerare ancora una volta la Città. Nel servizio si affermava che molte miscele utilizzate nei bar siano di bassa qualità, senza comprendere che il caffè napoletano è fatto per piacere ai napoletani non per rispettare i criteri di qualche indicazione da manuale.
La tostatura scura è una scelta precisa, una dichiarazione di intenti: qui si ama il sapore forte, deciso, perché deve svegliare l’anima prima ancora che la mente. E poi c’è il valore sociale del caffè. A Napoli è sinonimo di ospitalità, di accoglienza, di solidarietà. Il “caffè sospeso” succede a Napoli, nel suo disordine, nella sua irregolarità, perché qui bere un caffè è molto di più di un piacere personale, è un atto d’amore.
Così come è un atto d’amore e di salvezza la scelta di “baristi” senza formazione adeguata, maltrattati, dalla trasmissione televisiva, per la loro innocenza. La preparazione del caffè non è schiacciare un tasto, è riconoscere il cliente, il suo umore, le sue pene, capire se è il momento giusto per una battuta, una parola in più, o per un sorriso. Demonizzare, come ha fatto Report, chi lavora con passione e sacrificio è un atto miope.
Sarà anche corretto che i “baristi” a Napoli sono imperfetti, ma sono veri. E infine i “poveri” produttori, Kimbo, Passalacqua, Brasilera, da sempre ambasciatori di un’identità, costretti a subire giudizi sommari, a essere liquidati da un naso sopra a un chicco.
Il caffè a Napoli è un’essenza di gusto e bellezza, un’esperienza che trascende dal palato e arriva al cuore. Ogni sorso è un dialogo tra chi lo prepara e chi lo beve, un incontro tra la tradizione e il presente, è un simbolo universale di umanità, un rito che ci ricorda la nostra vulnerabilità. A Napoli, il caffè non è una bevanda, è un atto filosofico. Qui non basta schiacciare un tasto per fare un caffè, anche perché nessuno lo berrebbe».
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