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Arte bianca

Rodolfo Molettieri e la poesia del lievito

Pasqua è il tempo sacro in cui il lievito si fa rito e simbolo

Rodolfo Molettieri e la poesia del lievito: quando il pane diventa messaggio di civiltà

Rodolfo Molettieri

C’è un luogo, a Napoli, dove il tempo rallenta, si fa fragrante, caldo e profondo come la crosta dorata di un pane appena uscito dal forno. È il laboratorio di Rodolfo Molettieri, maestro panificatore, poeta del lievito, alchimista della farina.

Un luogo incantato, affacciato sul Corso Vittorio Emanuele con il nome di “Antica Forneria Molettieri”, dove l’arte bianca non è solo mestiere, ma missione, vocazione, scienza e sentimento. Rodolfo Molettieri non impasta solo farine. Impasta memorie, saperi, storie di popolo e cultura che risalgono a secoli di tradizione partenopea.

Il suo pane è un’ode alla terra, un tributo al grano che cresce tra i solchi del Sud, tra venti e silenzi, e che, grazie alle sue mani, si trasforma in alimento sacro. Lo si capisce subito, entrando nel suo regno profumato: l’aria si fa densa di poesia, come se le molecole del pane parlassero con la voce degli avi, come se ogni fragranza recasse con sé l’eco di un tempo perduto. La sua bottega è un teatro dell’anima, dove ogni impasto racconta, ogni lievitazione sogna.

E lui, Rodolfo, è insieme attore e regista di un’opera silenziosa che si consuma ogni notte davanti al forno, quando la città dorme e lui vigila sulle sue creature di farina e amore. Pasqua, per Molettieri, è il tempo sacro in cui il lievito si fa rito e simbolo. È in questo periodo che le sue mani danno vita a capolavori della nostra tradizione identitaria: pastiere profumate di fiori d’arancio, colombe pasquali dalle ali soffici come nuvole, casatielli e tortani che sembrano usciti da un manoscritto di cucina borbonica.

Ogni prodotto è un componimento d’arte, un affresco gustativo che coniuga la scienza dei processi fermentativi alla profondità del simbolismo popolare.

Ma non si pensi che il suo sapere sia solo empirico. Rodolfo è uno studioso, un filosofo della panificazione, conoscitore delle farine come un botanico lo è dei suoi erbari. Conosce l’anima dei grani, le personalità delle cultivar, i comportamenti dell’amido sotto l’abbraccio del calore.

La sua panificazione è precisa come una partitura, armoniosa come una sinfonia: lunga lievitazione, idratazioni calibrate, farine integrali e antiche, una ricerca costante della purezza e della digeribilità. Il pane, per lui, non è solo cibo: è specchio della civiltà. È l’indicatore primo del livello culturale di una società. Pane che sa rispettare il tempo, che non si produce in fretta, ma si affida alla pazienza della natura e alla cura dell’uomo.

È lì che risiede, secondo Molettieri, la chiave di un progresso vero: nell’ereditare le radici per proiettarle verso l’innovazione, nell’eternizzare la tradizione non come reliquia, ma come germoglio fecondo. In Rodolfo Molettieri si riconosce quel raro intreccio tra uomo e mestiere, tra sapere e passione.

Stare accanto a lui, nel suo laboratorio, è come leggere una pagina di romanzo gastronomico del primo Novecento, dove l’umanità si misura ancora nel profumo delle cose buone. Ed è per questo che si può dire, con sincero affetto e consapevole ammirazione: Rodolfo è buono come il pane. Anzi, come il suo pane.

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