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L'intervento
23 Settembre 2025 - 12:21
La psicoterapeuta Annamaria Ascione
NAPOLI. “La relazione medico-paziente è un luogo sacro di incontro tra fragilità e competenza. Quando questa relazione si spezza, entrambi gli attori ne escono danneggiati. Serve una rivoluzione culturale che rimetta al centro l’umanità del curante e il valore trasformativo dell'ascolto, oltre a delle vere e proprie misure strutturali per prevenire e gestire il rischio di aggressione ai danni degli operatori sanitari”. Così la dottoressa Annamaria Ascione, Psicologa, Psicoterapeuta, membro del Comitato Tecnico Scientifico di ASSIMEFAC (Associazione e Società Scientifica Nazionale di Medicina di Famiglia e Comunità) e socio dell’Associazione Italiana per lo Studio del Dolore (AISD) in vista del Convegno “Rispettate chi vi cura - comunicare, proteggere, educare: risposte alla violenza verso il personale sanitario” in programma il 27 settembre all’Ordine dei Medici di Napoli.
La relazione di Ascione, dal titolo “Rispettare chi cura. La relazione medico-paziente nell’epoca della sfiducia: un approccio psicoanalitico” parte dall’aumento delle aggressioni fisiche e verbali agli operatori sanitari registrato negli ultimi anni. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che circa il 30-35% degli operatori sanitari a livello globale abbia subito almeno un episodio di violenza verbale o fisica durante la propria carriera con un incremento esponenziale post-pandemia, specie nei pronto soccorso e nei servizi psichiatrici. In Italia, l’Osservatorio Nazionale sulla Sicurezza degli Esercenti le Professioni Sanitarie (Ministero della Salute, Relazione 2024) ha registrato oltre 18.000 aggressioni segnalate, coinvolgendo circa 22.000 operatori. Le categorie più colpite sono gli infermieri, seguiti da medici e OSS. Le donne sono più del 60% delle vittime. In oltre l'80% dei casi, la violenza è verbale, nel 15% fisica, nel 5% dei casi psicologica.
Anche l'assistenza domiciliare è interessata dal fenomeno. Uno studio condotto nel 2025 (Wiley Journal of Clinical Nursing) mostra come l’isolamento dell'operatore, l'assenza di supporto immediato e la tensione emotiva nelle famiglie aumentino il rischio di aggressione. Attualmente, in base alle ricerche riportate nelle fonti, le cifre in media mostrerebbero che oltre il 65% delle aggressioni avviene negli ospedali, circa il 20 - 22% negli ambulatori, circa il 16% in sede domiciliare.
In Campania, dati regionali indicano, nel 2025, un aumento del 22% delle aggressioni rispetto all’anno precedente, ben al di sopra della media italiana, di poco superiore al 5%. Inoltre difficoltà organizzative e carenze strutturali, sovraffollamento e scarsità di risorse rendono la fragilità ancora più esplosiva.
“Nel cuore della relazione terapeutica – afferma Ascione – si incontrano la vulnerabilità del paziente e la responsabilità del curante che viene investito di un ruolo quasi parentale e salvifico. Oggi, questo patto originario sembra essersi incrinato. L'aumento di aggressioni agli operatori sanitari, l'emergere di un clima di diffidenza sistemica e il crescente burnout tra i professionisti della salute sono sintomi non solo di una crisi strutturale del sistema sanitario italiano, ma anche di una crisi simbolica e relazionale. Bisogna riformulare il patto di cura, fondandolo su soggettività del curante, supervisione clinica e promozione di una medicina narrativa. La soggettività del curante è un fattore terapeutico fondamentale per la riuscita del rapporto clinico-paziente: solo chi è riconosciuto come persona può riconoscere l'altro come tale. La fiducia non si genera nei protocolli, ma nella presenza, nell’umanizzazione”. Molti operatori sanitari, invece, lavorano in contesti che negano la loro soggettività, riducendoli a funzioni: “Da qui – conclude l’esperta – attacchi d’ansia, burnout, somatizzazioni, vissuti depressivi sempre più frequenti nel personale sanitario”.
Quali soluzioni e “misure strutturali” adottare per ripensare la relazione di cura al fine di prevenire e gestire il rischio di aggressione soprattutto nella realtà campana? La dottoressa Ascione elenca 5 punti fondamentali per intervenire:
1. Inserire nei curricula di formazione moduli obbligatori su comunicazione, gestione emotiva e psicodinamica della relazione;
2. Istituire supervisioni psicologiche continuative nei contesti ospedalieri e territoriali;
3. Promuovere la medicina narrativa come strumento di simbolizzazione;
4. Introdurre protocolli post-aggressione con debriefing emotivo per i curanti;
5. Sensibilizzare l’utenza tramite campagne pubbliche sul rispetto e la relazione umana nella cura.
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