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Boss in fuga, il pentito canta: «Talpe nello Stato, ho i nomi»

Boss in fuga, il pentito canta: «Talpe nello Stato, ho i nomi»

NAPOLI. Un clan tentacolare e in grado, grazie alla propria forza economica, di assicurarsi protezione ad altissimi livelli. Persino tra i più alti gradi delle forze dell’ordine. Uomini di Stato “infedeli”, che in più di una circostanza avrebbero agevolato le attività illecite della cosca innescando una poco rassicurante fuga di notizie finalizzata a scongiurare gli arresti dei principali esponenti dell’Alleanza di Secondigliano. Un’ipotesi che in passato era già circolata con insistenza, così come pochi giorni fa in occasione della mancata cattura del boss Maria Licciardi, ma adesso c’è un pentito “da novanta” pronto a vuotare il sacco facendo nomi e cognomi. Pasquale Orefice non soltanto è uno dei pochissimi affiliati al clan Contini che ha deciso di collaborare con la giustizia, ma è anche quello che custodisce le informazioni più recenti. Il verbale del suo interrogatorio reso il 9 ottobre scorso è uno dei principali confluiti nella maxi-ordinanza di custodia cautelare eseguita il 26 giugno ed è proprio all’interno di quel documento che l’ex “gregario” del rione Amicizia ricostruisce i rapporti tra il clan Contini e alcuni “pezzi di Stato”. E lo fa tirando in ballo due delle massime figure di vertice della storica cosca di San Giovanniello: i boss Alfredo De Feo “’o piccirillo” e Nicola Rullo “’o nfamone”. Il suo racconto inizia proprio dalla sua conoscenza con Rullo: «L’ho visto l’ultima volta prima che fosse arrestato per un mandato di un anno. All’epoca fummo avvisati da Savio Acanfora (indagato nella stessa inchiesta, ndr), cognato di Alfredo, che Rullo stava per essere arrestato da quelli di Castello di Cisterna, che sapevano pure dove si trovava». Quelli, per intenderci, sarebbero i carabinieri. Orefice va quindi dritto al nocciolo della questione: «Savio ne era a conoscenza tramite un soggetto che Alfredo aveva ingaggiato durante la sua latitanza spontanea curata da me e dal cognato. Il soggetto di cui ho detto aveva rapporti con un poliziotto che lavorava alla Questura centrale, nonché con i carabinieri di Castello di Cisterna. Alfredo aveva subito un paio di giorni prima una perquisizione a casa insieme a “Piopà”, così si insospettii e chiese, tramite Savio, se ci fossero indagini a suo carico. Nella stessa occasione, quando venne a sapere che non c’era nulla su Alfredo, riferì che quelli di Castello di Cisterna erano invece in procinto di arrestare Nicola Rullo». Giunta la soffiata, il clan si organizzò immediatamente per assicurare la fuga al ras del Borgo Sant’Antonio: «Alfredo - sostiene Orefice - mandò un’imbasciata ad Antonio Aieta, che lo riferì a Genny Corrado. Prima dell’arresto di Rullo andai a comprare io stesso un tappeto per correre che poi venne consegnato nella casa dove stava facendo la latitanza. In quell’occasione raccogliemmo circa 60mila euro che dovevano servire per la sua latitanza». Al boss Rullo non doveva mancare nulla.

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