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26 Luglio 2019 - 12:33
NAPOLI. Archiviati i trascorsi da camorrista di rango, l’ex boss Vincenzo Amirante ha fatto la scelta più difficile. Ha onorato il proprio patto con lo Stato senza tentennamenti e senza mai tirarsi indietro. Lo ho fatto fino in fondo. Arrivando persino a puntare il dito contro il “sangue del suo stesso sangue”. Vale a dire il figlio Raffaele. È a quest’ultimo, infatti, che il 55enne collaboratore di giustizia, fino al 2016 reggente alla Maddalena del cartello Amirante-Brunetti-Giuliano-Sibillo, ha addossato la partecipazione a due clamorosi agguati che solo per un puro caso non si sono rivelati mortali. Si tratta dei tentati omicidi di Alessandro Riccio, ferito da un colpo alla schiena il 27 marzo del 2015 a largo Donnaregina, e di Salvatore D’Alpino, scampato alla morte il 3 maggio 2015 ma ucciso appena un mese dopo da un commando del clan Buonerba di via Oronzio Costa. Dopo le prime dichiarazioni rese agli inquirenti della Dda all’inizio dell’estate del 2017, di Amirante senior sembrava essersi persa ogni traccia. Il boss che per anni ha messo a ferro e fuoco i vicoli di Forcella e della Maddalena non ha però mai interrotto il proprio rapporto con la giustizia. Anzi, ha continuato a collaborare sottotraccia e, interrogatorio dopo interrogatorio, ha consentito agli inquirenti di compilare centinaia di pagine di verbali. Dopo tanti fiumi di inchiostro e carta, ecco che adesso sono però arrivati anche i primi approdi giudiziari. Pochissimi giorni fa, accolta la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pm Woodcock, è stata infatti fissata l’udienza preliminare innanzi al gup del Tribunale di Napoli per Raffaele Amirante, Salvatore De Magistris e Gabriele Iuliano. I tre imputati, alla luce delle accuse avanzate nei loro confronti proprio da Vincenzo Amirante, dovranno a vario titolo rispondere del tentato omicidio di Salvatore D’Alpino e di armi, reati entrambi aggravati dalla finalità mafiosa. L’ipotesi è che i tre, ferma restando la presunzione di innocenza fino a prova contraria, abbiano fatto fuoco per agevolare le attività criminalità dei clan Giuliano, sul fronte di Forcella, e Amirante, per quanto riguarda la Maddalena. I colpi di scena sono però tutt’altro che finiti. Il collaboratore di giustizia Vincenzo Amirante ha infatti puntato il dito contro il figlio Raffaele anche a proposito di un secondo delitto, vale a dire il tentato omicidio di Alessandro Riccio, raggiunto da un colpo di pistola alla schiena il 27 marzo del 2015 mentre si trovava a largo Donnaregina. Un agguato dai contorni ancora incerti, ma per il quale l’ex ras, oltre al figlio Raffaele, ha accusato anche se stesso. La Procura, supportata anche da alcune eloquenti intercettazioni, ha in questo caso appena fatto recapitare l’avviso di chiusura delle indagini ai due Amirante. I fari della giustizia stanno per accendersi anche sull’ennesima pagina di sangue dell’ultima faida di Forcella.
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