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17 Settembre 2019 - 07:17
Alla vigilia della partenza del Gom nell’Asl Na3 Sud, l’oncologo Francesco Bianco, primario della Chirurgia all’ospedale di Castellammare, spiega come e chi può evitare la “stomìa”
CASTELLAMMARE DI STABIA. Parte il prossimo 1 ottobre il Progetto GOM (Gruppi Oncologici Multidisciplinari) nelle Asl della Campania. All’ospedale San Leonardo di Castellammare di Stabia, dove - dallo scorso febbraio - la Chirurgia generale è diretta dal chirurgo oncologo del colon-retto e stomaco, il dottor Francesco Bianco, il Gom per i malati di cancro al colon, retto e stomaco, è già attivo. E la voce di un bravo chirurgo, che ha sviluppato in anticipo tecniche per evitare la “stomia” (il sacchetto esterno a chi ha subito l’asportazione del retto a causa di un cancro) sta dilagando. Alla Chirurgia dell’ospedale San Leonardo cominciano ad arrivare pazienti da Milano, da Verona, da Modena, dalla Puglia e dalla Calabria. Un’inversione di tendenza rispetto ai numerosi “viaggi della speranza” che dalla Campania fanno muovere tanti ammalati verso le strutture del Nord Italia. «Sia chiaro - spiega il dottor Francesco Bianco - la tecnica del “pull-through modificato”, che io pratico, e che consente la ricostruzione del retto asportato in caso di cancro ultrabasso, non è per tutti. Qui non garantiamo il “miracolo di San Gennaro”, ma solo in casi che lo consentono riusciamo a ricostruire la zona asportata, senza fare la stomia né temporanea né permanente. Quindi aumenta la percentuale di persone alle quali siamo riusciti a salvare il retto».
E poi? Cosa accade all’ammalato?
«Torna a casa e, finora, abbiamo avuto solo un caso di morte per una recidiva, dopo 8 anni dall’intervento».
Lei dirige la Chirurgia generale del San Leonardo dal 16 febbraio di quest’anno. Quanti interventi ha effettuato fino ad oggi?
«Abbiamo avuto 450 interventi di chirurgia generale, di cui 150 oncologici del colon-retto e stomaco».
Come funziona il GOM?
«Il progetto prevede la presa in carico del paziente a 360 gradi. Accanto all’ingresso del mio reparto, qui in ospedale, c’è la stanza del “case-manager”, la dottoressa Mara De Falco, che fa da “regista” del lavoro in equipe. In pratica, il medico di base o l’endoscopista che scopre nel paziente il cancro al colon, telefona qui. Il paziente arriva per la prima visita e viene accolto dal chirurgo, dall’oncologo, dal radioterapista, dall’anatomopatologo e dall’endoscopista che insieme valuteranno il caso e seguiranno in tutto il suo percorso il paziente. Gli oncologi territoriali e del II Policlinico sono coordinati dai professori Sabino De Placido e Chiara Carlomagno».
Cosa l’ha condotta dal Pascale, dove lei lavorava come oncologo, all’ospedale San Leonardo?
«Al Pascale sono approdato nel 2010. Ma, prima, ho lavorato in Inghilterra, Francia, ho collaborato in Usa e Spagna. La mia lunga esperienza all’estero mi ha preparato con largo anticipo alle tecniche di equipe odierne. Nel 2011 è iniziata la mia collaborazione, su base volontaria, con i colleghi dell’Asl Napoli 3 Sud, endoscopisti e oncologi di Torre del Greco e Pollena Trocchia. E mi piace ricordare Gianluca Rotondano, un collega, amico fraterno, che non c’è più, e che ci teneva molto all’approfondimento delle nuove metodologie di cura del cancro. Ho lavorato con il servizio di Epidemiologia di Brusciano, che in quest’Asl è un’eccellenza, con il Registro dei Tumori organizzato dal dottor Mario Fusco. Tutto questo percorso ci ha visti antesignani delle politiche per la prevenzione del cancro che il Ministero della Sanità ha successivamente sviluppato. La regione Campania ha iniziato i Pdta e la rete oncologica nel 2016. Poi, nel luglio 2017 è iniziato il Gom, istituzionalmente, della Asl NA 3 Sud, che intende assicurare il percorso diagnostico, terapeutico e assistenziale del paziente. Trovarmi oggi qua è il naturale passaggio a una tappa che viene a completamento della mia esperienza professionale».
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