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Omicidio Mignano, la Cassazione gela i killer: restano tutti dentro

Omicidio Mignano, la Cassazione gela i killer: restano tutti dentro

NAPOLI. Ancora una doccia gelata per i killer “dello zainetto”. Ieri mattina la Prima sezione della Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi avanzati dai difensori di Ciro Rosario Terracciano, Umberto Luongo, Salvatore Autiero e Gennaro Improta, i quattro uomini del clan D’Amico-”Gennarella” di San Giovanni a Teduccio finiti in manette il 4 maggio scorso con l’accusa di aver, a vario titolo, preso parte all’assassinio di Luigi Mignano, il ras del clan Rinaldi trucidato il 9 aprile a due passi dalla scuola elementare del rione Villa. In precedenza la misura cautelare era già stata confermata dai giudici del Riesame. Il collegio difensivo ha provato in tutti i modi a riaprire la partita quantomeno sotto il profilo delle esigenze cautelari, ma i giudici della Suprema Corte hanno deciso di dare pieno accoglimento alla linea della Procura, motivo per il quale la permanenza in carcere dei quattro presunti killer rischia di essere ancora molto lunga. Gli avvocati degli indagati avevano dal canto loro provato in tutti i modi a scardinare l’impianto accusatorio facendo leva, in particolare, sull’uso di un software spia, il cosiddetto trojan, utilizzato dalla Dda in fase di indagine preliminare per intercettare il telefonino del boss Umberto D’Amico “’o lione”, anch’egli finito in manette nel blitz del 4 maggio ma poi passato dalla parte dello Stato diventando collaboratore di giustizia. Le difese, in particolare, hanno focalizzato la propria attenzione sulla fase autorizzativa all’impiego del software. Il primo decreto che dava il via libera all’intercettazione telefonica è stato firmato il 13 marzo. Il successivo 20 marzo, con un’annotazione a penna, il gip dava il proprio placet anche all’impiego del trojan. Stando a quanto sostenuto dal collegio difensivo, la richiesta del pubblico ministero non sarebbe però agli atti. I rilievi sollevati non hanno però convinto i giudici della Cassazione, i quali hanno dunque rigettato in blocco i quattro ricorsi. Terracciano, Luogo, Autiero e Improta affronteranno dunque il processo di primo grado da detenuti. L’inchiesta, ferma restando la presunzione di innocenza fino a prova contraria, ha consentito di fare luce sulle responsabilità degli indagati, tutti a vario titolo coinvolti nel delitto e tutti inquadrati come affiliati di punta al gruppo D’Amico-”Gennarella”, costola del clan Mazzarella insediatasi negli ultimi anni al rione Villa, roccaforte tradizionalmente ritenuta sotto il controllo dell’eterno rivale clan Rinaldi. Proprio a quest’ultima organizzazione camorristica apparteneva la vittima Luigi Mignano, cognato del boss Ciro Rinaldi “Mauè”. Nell’agguato del 9 aprile rimase ferito in maniera lieve anche Pasquale Mignano, il 32enne figlio della vittima, e solo per un puro caso non fu coinvolto nel raid il nipotino di appena quattro anni che in quel momento stava per essere accompagnato a scuola. D’Amico e Luongo sarebbero stati i mandanti e gli organizzatori dell’agguato. Autiero avrebbe preso parte alla fase esecutiva con funzione di appoggio e agevolando la fuga del killer. Improta e Musella avrebbero fatto da staffetta assicurando la fuga del sicario e distruggendo lo scooter impiegato per l’agguato. Terracciano sarebbe infine l’uomo che ha materialmente premuto il grilletto contro Mignano per ben undici volte. Un omicidio eclatante, solo per puro caso non tramutatosi in una strage.

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