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12 Ottobre 2019 - 12:39
Tra quattro mesi andrà in congedo e l’Arma perderà uno dei più brillanti ufficiali. Ma il generale di Corpo d’Armata Vittorio Tomasone (nella foto), al vertice del Comando Interregionale Carabinieri “Ogaden” che ha competenza su Campania, Puglia, Molise, Basilicata e Abruzzo, tutto ha tranne che l’aspetto di chi sta per ammainare le vele. Anzi: «Lavorerò con lo stesso entusiasmo fino all’ultimo giorno», dice con il solito piglio. E annuncia di avere già in programma riunioni operative e decisioni importanti da prendere. Nel frattempo si concede un’intervista in cui spazia dall’analisi dei cambiamenti della città alla situazione della criminalità organizzata fino all’etica comportamentale “bassa” che rende Napoli «spesso disordinata». «Sono critico, non polemico», tiene a precisare.
Generale, lei è tornato a Napoli dopo molti anni. Come ha trovato la città?
«Napoli non è solo Napoli, è anche il suo grande entroterra. Napoli non è solo una città e basta, è qualcosa di più di una semplice città. Affrontare il discorso sulla valutazione di come è ora la situazione, di come era e di come si è trasformata, non è solo un’opera di sistemazione della storia dell’illecito della città, ma significa non disperdere un patrimonio di conoscenza che ci fa capire perché si è arrivati a questo punto».
Partendo da cosa? Dalla camorra?
«Partendo da quello che sicuramente abbiamo visto. Uno può dire quello che ha fatto, ciò che ha visto e come l’ha visto. Io sono tornato dopo 25 anni di assenza e nel complesso devo dire che gran parte della città l’ho trovata migliorata. Probabilmente chi l’ha vissuta in questi anni e i miglioramenti li ha visti gradualmente, li ha notati meno. Io che per 25 anni non c’ho vissuto, invece, li ho immediatamente colti e apprezzati».
È stato a Napoli fino al 1993 quindi. In quegli anni che incarichi aveva?
«Sono stato comandante del nucleo investigativo fino alla primavera del ’93, prima ancora ho guidato le compagnie Poggioreale e Vomero, poi la compagnia di Pozzuoli. Per 13 anni con vari incarichi ho assistito alla trasformazione della città, dal terremoto ai problemi del post terremoto. Sicuramente è una città in cui parecchio corre in senso contrario alla legalità. Purtroppo è un modo di vivere che non fa onore nemmeno a chi non è delinquente. Perché i materassi che si lasciano in determinati posti vicino ai cassonetti non è detto che sia il pregiudicato o colui che vive di delitti a lasciarli. È l’incuria di chi ritiene che tanto comunque anche se faccio qualcosa del genere, la situazione male va e non potrebbe andare peggio. Invece in realtà va peggio anche per questo su certe cose. Non voglio fare sociologia, voglio dire che nessuno deve essere copia di un altro se non è la copia di un altro positivo».
Ma 25 anni fa il materasso non veniva lasciato in strada...
«Venivano lasciati i cartoni, venivano lasciate altre cose, si ricorreva ad altre forme. Io la vedo in questo modo, io dico che chi si lamenta dovrebbe anche capire e chiedersi soprattutto: io mi lamento di questo ma cosa faccio in proposito? Questo è qualcosa che tutti dovremmo porci. La città andrebbe vissuta con un senso delle regole e non scegliendo le regole da osservare e quelle da non osservare. Perché quello che credo sia il nostro problema è che ci scegliamo le regole che vanno rispettate mentre talune altre possono non esserlo. E questo rende la città spesso disordinata».
Non è un vizio un po' italico questo? Lei ha girato l’Italia, questa insofferenza per le regole non l’ha trovata anche altrove...
«Io sono stato in Piemonte, in Sicilia, in Emilia Romagna, nel Lazio, e dico di no. La linea dell’etica comportamentale individuale in ogni posto d’Italia viene spostata un po’ avanti e un po’ indietro a seconda della propria convenienza. Ma in altre parti d’Italia l’arretramento della linea dell’etica non raggiunge l’abbassamento che raggiunge a Napoli. La linea qua è molto più bassa. Si ritiene che certi comportamenti che divergono dalle regole siano tutto sommato ininfluenti ai fini dell’ordinato svolgimento della propria vita. Questo dà la possibilità, a chi la linea dell’etica non se la pone proprio come misura del proprio comportamento, di assolversi da comportamenti addirittura illeciti se non delittuosi. Trovando quindi giustificazioni. Una volta si diceva: “non sono un delinquente, faccio solo le sigarette”. Ma questo è un altro discorso che andrebbe affrontato dal punto di vista dell’istruzione, della cultura scolastica, del lavoro, delle alternative alla strada».
Questione clan di camorra, che cambiamenti ha trovato rispetto a trenta anni fa?
«La delinquenza è cambiata. Io ho lasciato dei clan strutturati ed egemoni e ho trovato una polverizzazione di gruppi familiari alla ricerca spasmodica di emergere».
Questo solo a Napoli città o anche in provincia? In provincia non le sembra che siano state mantenute le vecchie strutture criminali?
«La provincia si esprimeva anche all’interno di Cosa Nostra, che veniva rappresentata da Michele Greco. Questo significa che la provincia è stata sempre più ferma e fedele al sistema camorristico dell’immediato dopoguerra piuttosto che al sistema dei clan degli anni Ottanta. Perciò ci furono le guerre tra chi voleva imporre muove regole e chi no. Parlando di cambiamenti, la “stesa” è il cambiamento del sistema criminale, il segno più evidente. È ragionato? Forse. Non ragionato? Può darsi. Certo è che allora si sparava per dominare, per prendere il controllo della zona, oggi soprattutto per intimidire. E il pericolo più grande è il coinvolgimento di persone estranee, innocenti. Però una cosa spesso sfugge. Se voi guardate i fatti, oggi ci sono risposte immediate dallo Stato o rapide soluzioni dei casi perché esistono indagini preesistenti e quindi l’attività ultima va a innestarsi su accertamenti in corso. Significa che c’è una grande copertura investigativa-giudiziaria, come per esempio nel caso dell’omicidio dello zainetto a San Giovanni a Teduccio, il pregiudicato che teneva per mano il nipote. Ciò dovrebbe essere motivo di ampia diffusione dell’informazione perché non si vive solo del racconto dei fatti, ma anche di commenti su quanto fa lo Stato.».
Parliamo di informazione, su come vengono diffuse le notizie, in questo e in altri settori.
«Abbiamo bisogno di spinte positive. Per esempio, tornando a Napoli ho riscontrato una notevole presenza di turisti. Alcuni lamentano che si tratta di un turismo “mordi e fuggi”. Io rispondo che comunque sono turisti che prima non c’erano. Ma è un fenomeno che va coltivato e protetto. Per questo abbiamo attivato il “Piano Napoli” e per questo insisto sul rispetto delle regole. La guerra al crimine si fa partendo dalla cultura del rispetto delle regole, compreso l’uso del casco in moto».
Gli organici delle forze dell’ordine a Napoli e in Campania. La situazione attuale, migliore o peggiore di prima? Ed è vero che, in proporzione agli abitanti e al numero di reati, in alcune province del Nord, tipo Sondrio, Varese e Como, ci sono più uomini?
«Non è vero. Sicuramente abbiamo avuto un calo di effettivi a causa del blocco parziale del turn over cui si sta rimediando con un reclutamento straordinario. Siamo meno effettivi ma questo calo non è ricaduto sui reparti territoriali, bensì sulle strutture di supporto. Si devono tener presente le esigenze del paese e il problema è l’utilizzo nel modo migliore delle risorse che ci sono. Quest’anno avremo sicuramente delle unità in più sul territorio nazionale grazie a un mega-concorso di reclutamento. E per queste nuove reclute varrà il nuovo orientamento del comandante generale che dispone come prima destinazione dei marescialli e dei carabinieri la stazione, quindi il presidio del territorio».
Parliamo di economia. I clan secondo lei erano più ricchi 30 anni fa con il contrabbando o sono più ricchi oggi con i traffici droga? L’economia è più inquinata ora o 30 anni fa?
«C’è sempre stata la necessità di reinvestire per la criminalità. L’interesse criminale nell’economia è il problema più evidente. Allora non esistevano gli strumenti normativi che man mano il legislatore ha messo nelle mani degli operatori. L’intero sistema della legislazione antimafia è nato con il 416 bis del codice penale, poi con la legge del 91 delle aggravanti mafiose e il riciclaggio. Il corpo normativo è nato nel 1991 e noi abbiamo cominciato a utilizzarlo allora. Anche il decreto Scotti-Martelli è stato un altro punto a favore dello Stato. Oggi si dispone di norme come l’autoriciclaggio che prima non c’erano. L’interesse mafioso nell’economia è ancora evidente e pericoloso perché crea un doppio danno: arricchisce il clan e provoca l’uscita dell’imprenditore onesto dal mercato».
In Campania l’infiltrazione camorristica nell’attività amministrativa è diminuita rispetto a 30 anni fa? Sembra più penetrante in provincia che nel capoluogo o è un’illusione?
«C’è un trend altalenante, ma sempre presente. È molto più difficile condizionare una grande struttura comunale di una metropoli che un piccolo centro, per questo l’inquinamento camorristico è più diffuso in provincia. Il problema non è soltanto lo scioglimento dell’organo elettivo. Il problema sono gli organi tecnici perché senza un comportamento poco lecito degli organi tecnici non ci sarebbe il condizionamento».
Negli anni ‘80 c’erano diffuse infiltrazioni della camorra anche tra le forze dell’ordine e negli apparati giudiziari. Ora le cose sono cambiate?
«Il tradimento negli apparati investigativi è una ferita destinata a sanguinare sempre. Siamo abituati ad avere l’avversario di fronte, non alle spalle. Non abbiamo la presunzione di santità, ma la consapevolezza che se uno di noi sbaglia il caso viene trattato con il massimo rigore. E non voglio sentire parlare di fisiologia. Ma se tante indagini vengono portate a compimento, vuol dire che il tessuto non è solo sano, di più. Parliamo di singoli casi di corruzione, di persone che raramente fanno parte di un gruppo investigativo impegnato in prima fila nelle indagini».
Torniamo un attimo sulla questione della polverizzazione dei clan, è in relazione al proliferare delle baby gang?
«Le baby gang sono un altro discorso. Se guardiamo ai componenti delle baby gang c’è sempre un problema familiare o l’assenza di scolarizzazione alle spalle. È un problema prevalentemente sociale e scolastico. La polverizzazione dei clan è una realtà ormai: a Napoli contiamo cento clan, ma non a tutti darei quest’appellativo. Si tratta per lo più di gruppuscoli in continuo movimento. La polverizzazione credo che debba essere combattuta anche con un contrasto sul territorio, mentre per le cosche più strutturate vanno bene soprattutto le attività tecniche di investigazione».
Il suo futuro? A cosa si dedicherà?
«Fino all’ultimo giorno non svuoterò l’ufficio. Poi non so cosa farò. Sicuramente il nonno, ma credo che tra le offerte che mi sono già arrivate sceglierò quelle che riterrò più confacente al mio modo di intendere il rapporto con la società».
Potrebbe entrare in politica?
«Assolutamente no, non entrerò in politica, non che si sia niente di male nell’attività politica in sé, solo che non la trovo confacente alle mie attitudini».
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