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Assedio al clan fantasma, 22 arresti a Sant’Erasmo

Assedio al clan fantasma, 22 arresti a Sant’Erasmo

Azzerata la cosca diretta dall’85enne Carmine Montescuro

NAPOLi. Sant’Erasmo come una piccola Svizzera, gestita dall’85enne ras Carmine Montescuro: una sorta di zona franca della camorra napoletana. In quel tratto di Napoli per anni si è cercata e spesso trovata la tregua tra i clan di camorra che hanno insanguinato la città con la guerra tra i cartelli di Secondigliano e dei Mazzarella. Una tregua fondata sugli affari e sul racket, gestiti da “Zì Menuzzo” che ancora lucidissimo sapeva trovare una sintesi tra le richieste di tutti i ras. Ma grazie in particolare alla microspia piazzata nell’autovettura del suo braccio destro, le indagini condotte dai poliziotti della squadra mobile della questura e coordinate dalla Dda, hanno permesso di ricostruire ben dodici episodi estorsivi consumati e tre tentate estorsioni, nei confronti delle società appaltatrici dei lavori di rifacimento di via Marina, oltre che di una cooperativa di ex detenuti e di un notaio. Così l'inchiesta che ha riguardato anche lavori nel porto, ha portato all’emissione di 23 misure cautelari, i cui destinatari sono in gran parte personaggi di spicco della criminalità partenopea. Tra essi Salvatore D’Amico “’o pirata”, capo del gruppo di San Giovanni a Teduccio; Ciro Rinaldi “mauè” e Gennaro Aprea, al vertice degli omonimi gruppi camorristici radicati nella zona orientale; Mario Reale dell’omonima famiglia di rione Pazzigno; Cozzolino dei Mazzarella, Stanislao e Antonio Marigliano dei  Formicola del cosiddetto Bronx; Gennaro Caldarelli e Giuseppe Cafiero delle Case Nuove così come Giuseppe Vatiero. All’inchiesta hanno contribuito diversi collaboratori di giustizia, ma le dichiarazioni di due in particolare si sono rivelate importanti: Salvatore Maggio e Ciro Niglio. Così, tra verbali dei pentiti e intercettazioni ambientali, si è scoperto che il clan Montescuro ha la disponibilità di una cassa comune e di armi, ha rapporti con le altre organizzazioni criminali, provvede alla difesa tecnica degli affiliati ed al mantenimento dei detenuti e delle loro famiglie, oltre che al pagamento di uno stipendio agli associati e ha la capacità di infiltrarsi nel tessuto produttivo con una notevole attività di riciclaggio. Nell’ordinanza cautelare sono ricostruite numerose condotte riconducibili al clan Montescuro e destinate ad assicurare all’organizzazione proventi illeciti, in particolare estorsioni a commercianti e imprenditori che operano nell’area del Porto. Inoltre, dagli elementi riportati nel provvedimento restrittivo emerge che sono state commesse estorsioni anche nei confronti degli imprenditori impegnati nei lavori di rifacimento e manutenzione della sede stradale che parte da via Marina e interessa anche l’area portuale fino alla zona orientale: un cantiere ancora attivo e che paralizza spesso la circolazione stradale.   I proventi delle estorsioni ai cantieri commesse dal clan Montescuro sono stati suddivisi tra le varie organizzazioni criminali, destinatarie di una quota determinata in base all’influenza sul territorio. E quando ci sono stati contrasti per l’assegnazione delle somme, intorno ai 100mila euro per volta, “Zì Menuzzo” è riuscito a mediare alla perfezione e a fare in modo che fossero superati. 

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