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30 Ottobre 2019 - 07:00
Affondo della Procura, chiesto il carcere a vita per il capoclan
NAPOLI. Per ricomporre il puzzle delle responsabilità e mandare definitivamente in archivio la prima faida di Scampia manca ancora un’ultima tessera: quella che, con il proprio ordine di morte, porterebbe la firma del capoclan Raffaele Amato “’a vecchiarella”. La Procura antimafia di Napoli è convinta dell’assoluta consistenza degli elementi indiziari fin qui raccolti e così ieri mattina ha invocato la conferma della condanna che in primo grado aveva già colpito il rad dei “due mondi”. Per il presunto mandante, insieme a Cesare Pagano, dell’omicidio di Fulvio Montanino e Claudio Salierno si profila quindi il rischio di una nuova stangata: l’ergastolo. Con la requisitoria tenuta ieri dal procuratore generale si avvia alle battute conclusive il processo che si sta celebrando innanzi alla Corte d’assise d’appello. Il pg, come del resto era prevedibile, ha invocato la condanna al carcere a vita per il boss Raffaele Amato. Sarebbe stato lui, insieme all’altro capoclan Cesare Pagano, a dichiarare nel 2004 all’allora egemone clan Di Lauro. La decisione di uccidere Fulvio Montanino, e di riflesso lo zio Claudio Salierno, fu del resto una dichiarazione di aperta ostilità nei confronti del boss Cosimo: la vittima era infatti il suo braccio destro. Da quel duplice delitto scaturì una strage senza precedenti nella storia di Napoli, protrattasi per tutto il 2005 con oltre cinquanta agguati mortali. Una ferita mai del tutto rimarginata e che ancora oggi vede diversi casi irrisolti. Quantomeno per il delitto “madre” il cerchio giudiziario potrebbe però chiudersi presto. La Corte dovrebbe infatti emettere il proprio verdetto entro la fine di novembre. Sul fronte delle condanne l’ultimo clamoroso colpo di scena era arrivato nel maggio dello scorso anno, quando la raffica di ergastoli inflitta in primo grado finì per sgretolarsi in appello grazie alle confessioni degli imputati. Anche in quel caso l’oggetto del dibattimento era l’omicidio Montanino-Salierno, ma alla sbarra mancava ancora Raffale Amato. C’era in compenso tutto il resto del gotha del clan degli Scissionisti di Secondigliano. La svolta è arrivata quando, l’uno dopo l’altro e in rapida successione, dodici dei quattordici “padrini” di Secondigliano hanno deciso di ammettere gli addebiti, percorrendo così l’unica opzione che gli avrebbe potuto consentire di scampare agli ergastoli già rimediati in primo grado. Preso atto del nuovo scenario, il collegio presieduto da Patrizia Mirra aveva dunque condannato Arcangelo Abete, Antonio Della Corte, Angelo Marino, Gennaro Marino, Ciro Mauriello, Enzo Notturno, Carmine Pagano e Cesare Pagano a trent’anni di reclusione ciascuno. Francesco Barone, Rito Calzone e Roberto Manganiello, grazie alla concessione delle attenuanti generiche prevalenti, erano riusciti a cavarsela con ventuno anni di carcere a testa. Gennaro Notturno, l’ultimo dei killer della faida di Scampia a essere passato dalla parte dello Stato, aveva invece incassato diciotto anni di reclusione proprio in ragione della sua scelta di iniziare a collaborare con la magistratura. Ferdinando Emolo, l’unico degli imputati a far parte del clan Di Lauro, aveva invece incassato undici anni e sei mesi di reclusione per armi e spari in luogo pubblico. I boss del rione Monterosa, Antonio e Guido Abbinante, pur non ammettendo mai gli addebiti, avevano invece ottenuto addirittura l’assoluzione. Il giudizio di secondo grado sta adesso per concludersi anche per Amato “’a vecchiarella” e la Procura confida di spuntare la pena massima.
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