Cerca

Ponticelli, trema il clan De Luca Bossa: il ras si pente e accusa tutti

Ponticelli, trema il clan De Luca Bossa: il ras si pente e accusa tutti

Raffaele Romano passa con lo Stato e incastra i De Luca Bossa-Minichini

NAPOLI. Il clan più potente di Ponticelli e di gran parte dell’area vesuviana potrebbe presto sgretolarsi sotto il peso delle sue parole. A Napoli Est c’è una nuova gola profonda. Lui è Raffaele Romano, detto “Lelè”, affiliato della primissima ora al clan De Luca Bossa poi confederatosi all’emergente gruppo Minichini. Pluricondannato per associazione di stampo mafioso ed estorsione, il ras dell’area orientale ha deciso, dopo l’ultimo arresto subito nel 2018, di passare dalla parte dello Stato. Sulla scorta delle sue dichiarazioni la Procura distrettuale antimafia ha redatto decine di pagine di verbali. Prevedibile l’esito giudiziario che ne scaturirà: una nuova ondata di misure cautelari destinate a mettere alle corde la cosca egemone al Lotto 0. Quello di Raffaele Romano è stato un pentimento-lampo. “Lelè”, stando a quanto emerge dagli atti dell’ultima ordinanza che ha colpito il clan di Ponticelli, avrebbe infatti avviato ed esaurito il proprio apporto investigativo nel giro di meno di un anno, tant’è che da poco è stato rimesso in libertà. Ad ogni modo gran parte delle sue dichiarazioni è ancora segretata, eppure già dai primi verbali sono scaturiti degli arresti di spessore assoluto. Accuse pesanti come macigni, che l’ormai ex ras ha subito messo in chiaro nell’interrogatorio al quale è stato sottoposto l’8 novembre scorso: «Faccio parte del gruppo De Luca Bossa. Quando c’erano ancora i “Bodo” (i De Micco, ndr), il mio gruppo, del quale fanno parte anche Francesco Audino, Giuseppe De Luca Bossa, Michele Minichini, Alfredo Minichini e altri ragazzi, voleva compiere un agguato nei confronti dei “Bodo” per l’omicidio di Antonio Minichini». A questo punto Romano “Lelè” entra nel merito della questione esponendo al pubblico ministero le figure al vertice dell’organizzazione. Con la doverosa premessa che tutti i soggetti tirati in ballo dal pentito sono da ritenere estranei ai fatti fino a prova contraria, ecco quanto rivelato: «Il capo è Michele Minichini. Ne fanno parte il fratello, Alfredo e altri ragazzi, il “caino”, “Fabio ’o chiattone”, io Giuseppe De Luca Bossa e da poco anche Emanuele, figlio Tonino De Luca Bossa, che si sta facendo strada. Umberto De Luca Bossa è detenuto. Tutti i detenuti prendono dei soldi, in particolare Anna De Luca Bossa, Umberto De Luca Bossa e le “pazzignane”». Da questo momento in poi la ricostruzione fatta da Raffaele Romano si incentra proprio sul ruolo, tutt’altro che marginale, delle donne del clan: «Michele Minichini ha usato le “pazzignane” per qualche omicidio. Le “pazzignane” avevano le proprie “piazze”. Per dare loro una mano Minichini stabilì che loro rifornissero le altre “basi” di Ponticelli, per esempio “’o ceccio” e “’o nippolo”, che avrebbero dovuto ricevere la droga e pagare loro una quota. Una percentuale veniva poi data dalle “pazzignane” al gruppo Minichini De Luca Bossa. Poi sono però sorti dei problemi, i gestori delle “piazze” si sono lamentati con noi e da quel momento hanno portato i soldi direttamente a Francesco Audino. Le “pazzignane” hanno continuato invece a gestire autonomamente la propria “piazza” nel palazzo in cui abitano». Il vaso di Pandora è aperto, gli ultimi ras di Napoli Est rischiano grosso.

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Il Roma

Caratteri rimanenti: 400

Logo Federazione Italiana Liberi Editori