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“’O nasone” voleva uccidere Ammendola per vendicare l’uccisione della moglie

“’O nasone” voleva uccidere Ammendola per vendicare l’uccisione della moglie

Il retroscena svelato da alcuni verbali in cui parla Giuseppe Missi, oggi pentito: il boss cambiò idea e incontrò “Peppe ’o guaglione” per isolare i Licciardi di Secondigliano

 NAPOLI. Giuseppe Missi, il boss soprannominato “’o nasone” che clamorosamente si pentì nel 2008, voleva a tutti i costi uccidere Giuseppe Ammendola detto “Peppe ’o guaglione”, luogotenente di Eduardo Contini “’o romano” perché lo riteneva uno dei killer della moglie Assunta Sarno. Ma poi, per ragioni di politica camorristica, addirittura lo incontrò per definire una strategia criminale che isolasse i Licciardi di Secondigliano. A dimostrazione che il ras del rione Sanità sapeva mettere da parte la furia vendicativa per passare a tattiche utilitaristiche. Per la serie “il fine giustifica i mezzi” di machiavelliana memoria. Il verbale in cui Giuseppe Missi parla di Giuseppe Ammendola risale al 29 aprile 2008, ma è inedito da un punto di vista giornalistico. Ecco alcuni passaggi, con la consueta premessa che le persone citate devono essere ritenute estranee ai fatti narrati fino a prova contraria.

LE DICHIARAZIONI. «Ho iniziato a raccogliere informazioni precise sul conto di Giuseppe Ammendola fin da quando appresi che egli era stato uno degli esecutori materiali dell’omicidio di mia moglie Assunta Sarno. Proprio per questo motivo, nel 1999, appena uscito dal carcere una delle mie priorità è stata quella di uccidere Peppe “’o guaglione». «Per spiegare come da questa situazione di attacco continuo alla persona di Peppe Ammendola si passa poi al mio personale incontro con quest’ultimo. Devo premettere brevi cenni sulla mia strategia criminale di rottura degli equilibri interni all’Alleanza di Secondigliano, al fine soprattutto di isolare e colpire i Licciardi. Per questa ragione iniziai a far girare la voce che il mio risentimento personale sarebbe stato rivolto solo ai Licciardi e non ai Contini. In particolare la divulgazione della voce era affidata a Giovanni Penniello: infatti parlando con lui già sapevo che egli l’avrebbe divulgata e ciò sarebbe servito al mio scopo». Si arrivò, dopo un’“imbasciata” mandata da Eduardo Contini attraverso un emissario a Giuseppe Missi (registrato così e non Misso a causa di un errore anagrafico) a un summit di camorra ad altissimo livello tra esponenti di primo piano di varie famiglie. «Concordammo un appuntamento per un incontro che si tenne in un appartamento nella disponibilità di Peppe De Tommaso in via Duomo. A questo incontro io partecipai insieme a mio nipote Michelangelo, anche alla presenza di Umberto Ponziglione, in rappresentanza dei Mazzarella che ovviamente dovevano essere coinvolti a causa della contrapposizione all’Alleanza di Secondigliano che aveva portato alla morte di Francesco Mazzarella, padre di Vincenzo. Dal lato dei Contini venne Peppe Ammendola, accompagnato da “Zì Menuzzo” (Carmine Montescuro, il ras di Sant’Erasmo recentemente arrestato, ndr) in funzione di garante. Stabilimmo una precisa ripartizione territoriale tra i vari clan, per esempio a proposito dei soldi derivanti dai cantieri della metropolitana che riguardavano sia i Contini, verso il lato di piazza Garibaldi, sia i Mazzarella di Gennaro Mazzarella». 

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