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05 Novembre 2019 - 12:37
NAPOLI. Due confessioni “involontarie” per altrettanti omicidi eccellenti. L’ormai ex capoclan del rione Villa di San Giovanni a Teduccio, Umberto D’Amico “’o lione”, irrompe ancora a gamba tesa sul “sistema” di Napoli Est, ma stavolta decide di alzare il tiro puntando dritto al cuore della cosca egemone al “Bronx” di via dell’Alveo Artificiale. Pentitosi appena l’estate scorsa, il neo collaboratore di giustizia accusa senza tanti giri di parole i capiclan Bernardino Formicola e Francesco Silenzio, tirandoli in causa a proposito del loro coinvolgimento nell’assassinio dei fratelli Massimo e Salvatore Petriccione, delitti per i quali sono già finiti in manette a inizio maggio. Con le rivelazioni fornite adesso dall’ex ras la loro posizione rischia di aggravarsi ulteriormente. Interrogato dal pm della Dda di Napoli, Antonella Fratello, Umberto D’Amico ha fatto mettere a verbale una nuova lunga serie di accuse. La prima delle quali riguarda l’indagato Giovanni Ranavolo: «Conosco bene “’o russo” - ha spiegato - È un amico dei Silenzio e ha un locale a Ibiza, l’ho incontrato spesso quando ero libero. Veniva da me dietro al “vicariello” (via Nuova Villa, ndr) proponendomi l’acquisto di “erba” e cocaina arrivate dalla Spagna. Sapevo che era legato a Francesco Silenzio». Ed è a questo punto che i contenuti dell’inedito verbale depositato venerdì scorso agli atti dell’inchiesta sul duplice omicidio Petriccione entrano nel vivo. Sul punto, “’o lione” si è espresso con parole a prova di equivoco: «Degli omicidi dei fratelli pescivendoli mi fu raccontato da Bernardino Formicola nel carcere di Terni, dove si trovava nella cella 25 e dov’è tutt’ora. Mi disse che uno dei due fratelli uccisi non voleva pagare il pizzo sulla droga. Allora andarono da lui Francesco Silenzio e Antonio “’o silano” (Marigliano, ndr) per sparargli nelle gambe, ma il secondo si fece prendere le mano e lo uccise. Non ricordo se era andato proprio Bernardino o se avesse solo commissionato l’agguato. Mi disse però che a sparare erano stati Francesco Silenzio e Antonio Marigliano». Con la consueta precisazione che tutti i soggetti citati sono da ritenere estranei ai fatti fino all’eventuale sentenza di condanna definitiva, vale a questo punto ricordare che ad oggi nessuno dei cinque indagati ha mai proferito parola sulla vicenda davanti a un magistrato. Umberto D’Amico ha però mostrato una certa conoscenza dell’argomento, tanto da rendere un lungo interrogatorio nel corso del quale ha puntato il dito contro ben tre dei cinque indagati. Nel mirino dell’ex boss e killer di via Nuova Villa è così finito anche il ras Francesco Silenzio: «Ho saputo da lui, mentre ci trovavamo nel carcere di Prato, che aveva intenzione di ammettere l’addebito per avere lo sconto di pena e prendere trent’anni in continuazione con i vecchi reati, trattandosi di un vecchio omicidio. Stavamo andando a colloquio lo stesso giorno e mentre andavamo mi raccontò questa cosa. Era sicuramente il 5 luglio. A colloquio da Francesco Silenzio vennero la convivente, i figli, la sorella e la moglie di Vincenzo Marigliano». Al netto delle nuove accuse lanciate da Umberto D’Amico, l’inchiesta sull’assassinio di Massimo e Salvatore Petriccione, uccisi rispettivamente il 29 giugno del 2002 e l’8 marzo del 2004, procede a passo spedito. Il gip del Tribunale di Napoli, accogliendo la richiesta della Procura distrettuale antimafia ha infatti disposto per l’inzio del prossimo gennaio il giudizio immediato per Francesco Silenzio, Antonio Marigliano, Bernardino Formicola e Alessandro Migliaccio. Per Ranavolo, irreperibile al momento del blitz ma in seguito arrestato, si procederà invece in separata sede.
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