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07 Novembre 2019 - 07:30
Faida a Rimini, i giudici delle Libertà escludono l’aggravante del fine mafioso per “’o nirone” e i suoi 4 uomini
NAPOLI. Dietro la guerriglia scatenata dall’Alleanza di Secondigliano in terra romagnola non c’era un movente di stampo mafioso. Fu, sì, un’azione “militare” finalizzata a contrastare il gruppo criminale egemone tra Rimini e dintorni, ma non fu una questione di camorra. È questa la convinzione maturata dai giudici del Tribunale del Riesame di Bologna, che ieri pomeriggio hanno disposto il parziale annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere che l’11 ottobre scorso aveva raggiunto il giovane boss Ciro Contini “’o nirone” (nella foto), nipote del capoclan Edoardo, e i suoi scagnozzi Antonio Acampa, Pasquale Palumbo, Francesco Capasso e Fabio Rivieccio. Il provvedimento cautelare è stato confermato negli altri punti, ma i giudici del Tribunale delle Libertà hanno deciso di accogliere la linea difensiva per quanto concerne l’intento del gruppo di agevolare le attività illecite dell’Alleanza di Secondigliano. Si sono dunque rivelate vincenti le argomentazioni sostenute dagli avvocati Dario Procentese per Ciro Contini, Mirella Baldascino per Pasquale Palumbo, Maurizio Capozzi per Francesco Capasso e Dario Procentese e Michele Caiafa per Fabio Rivieccio. Il collegio, in particolare, ha fatto leva sulle incongruenze emerse dal racconto reso agli inquirenti della Dda dal collaboratore di giustizia Pasquale Orefice, ex affiliato al clan Contini. Quanto alla posizione del giovane boss Ciro “’o nirone”, il suo difensore, grazie a una perizia tecnica eseguita da un consulente di parte, ha dimostrato che sull’arma recuperata in occasione del suo ultimo arresto, il cui possesso è stato contestato anche nell’ordinanza emessa dal gip di Bologna, non era presenta alcuna sua impronta digitale. Un gruppo collegato ai Contini, l’altro ai Nuvoletta. Stavano per dare il via a una guerra di camorra a Rimini, dove personaggi di spicco dell’uno e dell’altro fronte si erano trasferiti: alcuni da molti anni, altri dal 2018. Motivo del contendere il controllo delle estorsioni, alla base di due violenti pestaggi avvenuti alla fine dell’anno scorso. Ma attraverso indagini tecniche, come le intercettazioni telefoniche e ambientali, e investigazioni da strada i carabinieri del comando provinciale di Rimini l’11 ottobre hanno fatto scattare, su ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip, dieci arresti: sette in carcere e tre ai domiciliari. Personaggio principale dell’inchiesta è Ciro Contini, 30enne di calata Capodichino, nipote del boss Edoardo Contini “’o romano”. Sul campo impegnati 150 carabinieri con l’ausilio di unità cinofile e un elicottero. L’accusa, per la gran parte degli indagati, era di associazione per delinquere di stampo camorristico. Era stato infatti accertato che i due gruppi si dedicavano a estorsioni, rapine e sequestri di persona grazie alla detenzione e porto abusivo di armi, utilizzando il sistema dell’intestazione fittizia di beni impiegando il denaro di provenienza illecita. Chi non si piegava alle richieste illecite veniva punito ed ecco che per tre degli arrestati è scattata la denuncia per lesioni aggravate. La misura cautelare emessa dal gip dispose anche il sequestro preventivo di due società.
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