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19 Novembre 2019 - 07:15
Adesso in bilico i segreti del clan Di Lauro e della Masseria Cardone. In un’informativa il confronto tra il neo pentito e il boss Maria
NAPOLI. Salvatore Tamburrino era molto più che il semplice braccio destro del boss Marco Di Lauro. Era, piuttosto, a tutti gli effetti il plenipotenziario del clan durante la lunghissima latitanza del rampollo “F4”. La circostanza emerge a chiare lettere da un’inedita e recentissima informativa dei carabinieri del Ros. Nel documento redatto dagli investigatori dell’Arma viene infatti riportato lo stralcio di un’intercettazione ambientale che sembra rivelare tutta la caratura criminale dell’ex ras, in grado di rivolgersi addirittura alla pari con il boss della Masseria Cardone, Maria Licciardi. Tanto da farle recapitare un’“imbasciata” resasi necessaria in seguito al pestaggio di un uomo che aveva osato sfidare la cosca del rione dei Fiori. Il retroscena riportato nell’informativa del 12 luglio del 2018 viene ricostruito grazie a una microspia abilmente piazzata nell’auto dell’indagato Vincenzo Gatta, che in quel frangente si trova in compagnia proprio di Tamburrino, «intervenuto per dirimere una questione privata nata tra alcuni abitanti del rione dei Fiori, in particolare al civico 87 di via Il Barbiere di Siviglia. Il diverbio verificatosi il 19 ottobre del 2014 induceva tale “’o musso” a esternare le proprie rimostranze a Giovanni Cortese (storico affiliato ai Di Lauro, ndr), una scelta, quest’ultima, non condivisa da Tamburrino, tanto da ordinare allo zio Emanuele Tamburrino di picchiare “’o musso”». A descrivere quell’escalation di violenza, seppur inconsapevolmente, è lo stesso Tamburrino, che al suo interlocutore confida: «Alla fine dissi alla moglie di “’o musso” che io lo volevo, che se teneva qualche problema doveva dirlo a me, senza andare a chiamare altre persone». A questo punto l’allora ras secondiglianese, da pochi giorni passato dalla parte dello Stato, riferisce a Gatta, dopo averlo fatto picchiare dallo zio Emanuele Tamburrino, che la persona a cui si era rivolta, Giovanni Cortese, era «suo fratello». Insomma, aveva fatto mossa sbagliata. Ma la questione era ancora tutt’altro che risolta. Sfogliando l’informativa del Ros si scopre che «a seguito dell’affronto subito, “’o musso”, si rivolgeva direttamente a Maria Licciardi, con cui a suo dire aveva buoni rapporti». Nel corso dell’intercettazione, infatti, Tamburrino spiega a Gatta: «“’O musso”, tu adesso hai abbuscato, mo’ che vuoi fare? E lui mi rispose “io adesso vado da Maria “’a scigna”, quella mi vuole bene». Salvatore Tamburrino decide quindi di giocare d’anticipo facendo pervenire al capoclan della Masseria Cardone un messaggio tramite Ciro Cortese, legato alla donna da un rapporto di parentela. Dal dialogo intercettato emerge «con chiarezza - scrivono i carabinieri - come Maria Licciardi non fosse interessata alla situazione, e anzi autorizzava Tamburrino a porre in essere, eventualmente, ulteriori azioni violente nei confronti di “’o musso”, arrivando anche a decidere di allontanarlo dal rione dei Fiori». Quel dialogo sarebbe la prova che Salvatore Tamburrino non soltanto teneva ben salde le redini del clan Di Lauro, ma era anche in grado di interloquire con il vertice di un’altra organizzazione camorristica. Con l’avvio della sua collaborazione con la giustizia, svelato pochi giorni fa dal “Roma”, a rischiare è dunque non soltanto la cosca del rione dei Fiori, ma anche i gruppo secondiglianesi “gemellati”.
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