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Delitto "dello zainetto", così il super pentito D'Amico ha incastrato l'ultimo killer

Delitto "dello zainetto", così il super pentito D'Amico ha incastrato l'ultimo killer

NAPOLI. Fuga finita per l’ultimo killer “dello zainetto”. Dopo dieci giorni di ricerche a tamburo battente, i carabinieri sono riusciti a stringere le manette ai polsi del 36enne Pasquale Ariosto, il nono indagato sospettato di aver preso parte all’agguato costato la vita, il 9 aprile scorso, a Luigi Mignano, il cognato del capoclan della “46” di San Giovanni a Teduccio, Ciro Rinaldi “mauè”. Ricercato dopo essere riuscito a sottrarsi al blitz del 25 novembre, Ariosto è stato stanato in un appartamento nel quartiere Scampia. Il presunto sicario, accusato di aver procurato e guidato lo scooter impiegato per il raid di via Sorrento, all’arrivo delle forze dell’ordine non ha opposto alcun tentativo di resistenza e si è lasciato arrestare senza tante storie. In manette anche l’ultimo soggetto coinvolto nell’omicidio in cui perse la vita Luigi Mignano e rimase ferito il figlio: un agguato micidiale, messo tra l’altro a segno davanti agli occhi del nipotino di tre anni che il ras dei Rinaldi proprio in quel frangente stava accompagnando a scuola. Era il 7 aprile 2019. Sfuggito alla retata che undici giorni fa ha visto finire in carcere Giovanni Salomone e Giovanni Borrelli, Pasquale Ariosto, 36enne di San Giorgio a Cremano, è stato arrestato dai carabinieri del nucleo Investigativo di Napoli. L’arresto, eseguito sulla scorta della seconda ordinanza di custodia cautelare emessa dal Tribunale di Napoli su richiesta della Dda a carico del clan D’Amico-Mazzarella, chiude il cerchio investigativo che già il 4 maggio scorso portò al fermo dei primi sette presunti responsabili. Ariosto è stato individuato in una palazzina popolare di viale della Resistenza. Si trovava all’interno di un appartamento che già da qualche giorno stava utilizzando come “base” e all’arrivo dei militari dell’Arma si è lasciato ammanettare senza opporre resistenza. In casa, oltre al 36enne del “Casale”, che non era armato, non era presente nessun altro. Sul punto, gli investigatori vogliono però vederci chiaro e non escludono che qualche parente o affiliato al “sistema” di San Giovanni a Teduccio possa averne coperto e agevolato la fuga durante questi ultimi dieci giorni. Gli accertamenti sono ad ogni modo ancora in corso. Quello di Pasquale Ariosto è un profilo criminale tutt’altro che di secondo piano. Stando a quanto ricostruito dagli inquirenti sulla scorta delle rivelazioni fornite dal neo collaboratore di giustizia Umberto D’Amico “’o lione”, il 36enne di Napoli Est non soltanto sarebbe una della figure al vertice della costola del clan Mazzarella, ma avrebbe avuto, proprio per questo motivo, un ruolo determinante nell’omicidio di Luigi Mignano, assassinato nell’ambito dell’eterna faida con rivali del gruppo Rinaldi-Reale. Sfogliando l’ordinanza di custodia cautelare in carcere eseguita lo scorso 25 novembre, si scopre infatti che Pasquale Ariosto avrebbe avuto il «ruolo di partecipe alle fasi deliberative ed esecutive, in quanto insieme a Ciro Rosario Terracciano ha provveduto a portare sul luogo dell’agguato lo scooter rubato da impiegare nell’azione e ha condotto il veicolo con a bordo Terracciano, colui che ha esploso i colpi, nelle fasi esecutive». Accuse pesanti come macigni, alle quali Ariosto aveva deciso di sottrarsi sparendo nel nulla per quasi due settimane. Da ieri anche per lui si sono aperte le porte del carcere di Secondigliano.

«Giovanni Salomone (nella foto a destra, ndr) ha deliberato l’omicidio insieme a noi. La decisione è stata presa a casamia, eravamo a tavola tra tutti noi, io, Umberto Luongo, Giovanni Salomone, Giovanni Improta, Giovanni Musella, Savio Autiero. Salomone è quello che ha portato lo scooter sul luogo dell’agguato la sera prima». Umberto D’Amico (nella foto a sinistra), capo dell’omonimo clan di San Giovanni a Teduccio e mandante reo confesso del delitto Mignano, ha ricostruito così le fasi preliminari all’agguato. L’ormai ex ras di Napoli Est ha deciso di passare dalla parte dello Stato ad appena due mesi dall’arresto. La sua collaborazione con la giustizia, com’era prevedibile che fosse, è subito iniziata con la ricostruzione dell’assassinio di Luigi Mignano e, sul punto, “’o lione” si è dimostrato a dir poco implacabile, indicando senza esitazione i nomi di mandanti, esecutori e fiancheggiatori. Proprio D’Amico ha tirato in ballo Pasquale Ariosto nel corso dell’interrogatorio al quale è stato sottoposto l’8 luglio scorso: «Salomone - ha spiegato al pm della Dda - doveva anche prendere le armi e andare con me sopra dal tabaccaio per vedere quando Mignano scendeva da casa. Effettivamente io e Salomone abbiamo recuperato l’arma, una calibro 9, dal lastrico del mio palazzo. L’arma era stata procurata da Umberto Luongo. Ha poi spostato il motorino la mattina dell’agguato e lo ha messo a disposizione dei killer, Ciro Terracciano e Pasquale Ariosto». Stando alla ricostruzione dei fatti fornita dall’ex boss di via Nuova Villa, il 36enne catturato ieri non si sarebbe limitato alla preparazione dell’omicidio ma si sarebbe materialmente trovato sulla scena del crimine con un ruolo attivo: «Lo scooter “Mp3” - ha messo a verbale D’Amico - con il quale Terracciano e Ariosto sono venuti a recuperare lo scooter rubato per commettere l’omicidio è nella disponibilità di Gaetano Ariosto (non indagato per questa vicenda, ndr), che ha una società di noleggio a Bartolo Longo. Dopo l’omicidio Pasquale Ariosto ha portato Terracciano a casa della nonna nel parco Texas di San Giorgio o Portici e poi, insieme a Giovanni Musella, è andato a bruciare il motorino». Umberto D’Amico ha dunque ricostruito le fasi conclusive di quella giornata di sangue e terrore: «L’arma l’ha tagliata “Quagliarella”, cioè Giovanni Borrelli, su incarico di Umberto Luongo, come ho già riferito nel precedente verbale di interrogatorio. Salvatore Autiero ha fatto da staffetta insieme a Umberto Luongo. Anche Gennaro Improta doveva fare da recupero ma si è tirato indietro. Il ruolo di tutti gli altri, compreso il mio, è esattamente quello ricostruito nell’ordinanza di custodia cautelare». Dunque gli inquirenti erano già sulla pista giusta, ma va dato atto a D’Amico che è proprio grazie a lui che la seconda tranche dell’inchiesta è arrivata all’agognato punto di approdo. Il 25 novembre sono stati arrestati Giovanni Borrelli (in precedenza scarcerato dal Riesame) e Giovanni Salomone. Da ieri il cerchio si è chiuso anche per Pasquale Ariosto.

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