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12 Dicembre 2019 - 07:21
NAPOLI. Il boss Giuseppe Polverino e il suo braccio destro Giuseppe Simioli pagano a carissimo prezzo l’accusa di aver ammazzato il loro affiliato Giuseppe Candela. A fine ottobre il pubblico ministero della Dda aveva invocato per entrambi il massimo della pena e così è stato. Ieri pomeriggio i giudici della Quinta sezione della Corte d’assise di Napoli hanno inflitto al ras della “mala” maranese la condanna al carcere a vita. Stesso verdetto anche per il coimputato Simioli, per il quale è però stato disposto anche l’isolamento diurno per un anno.
La vittima, stando a quanto emerso dall’inchiesta culminata nei provvedimenti cautelari eseguiti nel febbraio 2016, stava diventando un personaggio per il clan Polverino per via dei suoi rapporti con trafficanti di droga legati ai gruppi di Secondigliano e del centro di Napoli. Troppo autonomo Giuseppe Candella, alias “Peppe tredici anni”, storico luogotenente di spicco della cosca di Marano fino a quando il boss in persona, durante un summit in Spagna, pronunciò la frase che di lì a breve ne decretò la condanna a morte: «Bisogna prendere un provvedimento». L’uomo fu ucciso, ma a distanza di sei anni il cerchio delle indagini arrivò a un punto di svolta con l’emissione di quattro ordini di cattura: due già detenuti, il terzo all’epoca latitante e il quarto agli arresti domiciliari in quanto collaboratore di giustizia. Secondo l’accusa, alla base dell’agguato compiuto il 15 luglio 2009, ci sarebbe stato l’affrancamento dal clan Polverino della vittima. Una sgarro imperdonabile e che finì per pagare a carissimo prezzo. Ferma restando la presunzione d’innocenza fino all’eventuale condanna definitiva, il boss Giuseppe Polverino “’o barone” fu il mandante dell’omicidio Candela. Mentre l’ex latitante Giuseppe Simioli sarebbe stato anche esecutore materiale. Raffaele D’Alterio “’o siscariello” avrebbe partecipato al delitto guidando lo scooter su cui c’era il killer mentre Biagio Di Lanno, poi diventato collaboratore di giustizia, fornì i caschi e la motocicletta che incendiò il giorno dopo. Ma all’organizzazione del delitto avrebbero partecipato altri affiliati al clan, non destinatari della misura cautelare per mancanza di gravi indizi e quindi a maggior ragione da considerare estranei ai fatti fino a prova contraria: Salvatore Cammarota, Sabatino Cerullo, Carlo Nappi e Roberto Perrone quali presunti promotori e organizzatori; Salvatore Simioli per aver fornito l’Honda ai sicari; Salvatore Liccardi come “specchiettista”, segnalando la vittima all’incrocio tra corso Umberto e via Cristoforo Colombo a Marano. L’omicidio di Candela fu pianificato nel corso di un summit di camorra svoltosi in Spagna, a Barcellona, dove Giuseppe Polverino trascorreva in quel periodo la sua latitanza. Sulla scorta di un quadro indiziario a dir poco granitico, i giudici di primo grado hanno optato per il massimo della pena.
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