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Clan De Micco alla sbarra, chiesti due secoli di carcere

Clan De Micco alla sbarra, chiesti due secoli di carcere

Nuovo affondo della Dda, trema il “sistema” di Ponticelli

NAPOLI. Trema il clan De Micco. Dopo la maxi-condanna ottenuta nel processo di primo grado, la Procura tenta il nuovo affondo ai ras del “sistema” di Ponticelli e invoca la conferme delle pene per tutti i diciassette imputati. Il gruppo capeggiato dal boss ergastolano Luigi De Micco rischia così di andare incontro a qualcosa come duecento anni di reclusione. Pesantissime le accuse di cui i “Bodo” devono rispondere: su tutte associazione per delinquere di stampo mafioso, armi e una raffica di estorsioni. Con la requisitoria che il pg Esposito ha tenuto nell’udienza celebrata ieri mattina innanzi ai giudici della Seconda sezione della Corte d’appello di Napoli approda così alle battute conclusive il processo di secondo grado. La pubblica accusa ha tenuto il punto rispetto a quanto già emerso nel precedente procedimento e pertanto ha chiesto la conferma delle condanne per tutti gli imputati. In primo, nonostante la scelta del rito abbreviato, il verdetto del gup era stato a dir poco impietoso: Antonio Autore, 8 anni di reclusione; Giuseppe Borriello, 8 anni e 4 mesi; Rocco Capasso, 4 anni e 4 mesi; Lino Carbone, 8 anni; Moreno Cocozza, 16 anni e 8 mesi; Francesco De Bernardo, 8 anni; Giuseppe De Martino, 9 anni; Michele Gentile, 10 anni e 8 mesi; Domenico Limatola, 9 anni e 4 mesi; Giuseppe Napolitano, 9 anni e 8 mesi; Giovanni Ottaiano, 14 anni e 8 mesi; Roberto Pane, 16 anni; Nicola Pizzo, 8 anni; Fabio Riccardi, 8 anni e 4 mesi; Roberto Scala, 18 anni e 8 mesi; Vincenzo Scala, 10 anni e 8 mesi; Gennaro Sorrentino, 17 anni e 10 mesi. In quello stesso processo erano imputati anche il boss Luigi De Micco e il suo braccio destro Antonio De Martino, condannati all’ergastolo; e Luigi Esposito e Davide Principe, che hanno invece incassato trent’anni di reclusione. Per loro, accusati di essere a vario titolo i responsabili dell’assassinio del narcos ribelle Salvatore Solla, in secondo grado si procederà separatamente. Tornando invece al filone associativo, le accuse mosse nei confronti degli indagati vanno dall’associazione camorristica, all’estorsione e alla detenzione e porto illegale di armi, per finire alla ricettazione e all’incendio doloso, reati tutti aggravati dal metodo mafioso. Le indagini, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, avevano consentito di ricostruire l’ascesa del clan De Micco, che a partire dalla fine del 2012, grazie al tramonto dei Sarno, si è imposto nel quartiere Ponticelli come organizzazione criminale autonoma dotata di tutte le caratteristiche tipiche: la struttura gerarchica, il controllo del territorio, la gestione delle piazze di spaccio, un’ottantina addirittura, e le attività estorsive. Le indagini avevano consentito di ricostruire il contesto criminale in cui è maturato l’omicidio di Salvatore Solla e il ferimento di Giovanni Ardu, che si trovò nel posto sbagliato nel momento sbagliato il 23 dicembre 2016, individuando i mandanti e gli autori materiali: Luigi De Micco, il boss dei “Bodo”; Antonio De Martino e un altro uomo non ancora identificati come killer; Davide Principe e Alessio Esposito per le fasi preparatorie e, insieme a Nicola Pizzo, per l’incendio del furgone utilizzato per l’agguato. La vittima voleva gestire autonomamente una piazza di spaccio a Ponticelli, disconoscendo di fatto lo strapotere dei “Bodo”.

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