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In una mensa l’amore verso chi è solo: la storia di Stefano, cuoco volontario dalle suore

In una mensa l’amore verso chi è solo: la storia di Stefano, cuoco volontario dalle suore

NAPOLI. La solidarietà unisce tutti, come la povertà. E quelli che evidentemente sono due mondi paralleli, sicuramente diversi, a volte si ritrovano in un piatto, in un dolce e in un pezzo di pane. «Da 18 mesi, il martedì, lascio la mia famiglia, il mio lavoro e i miei amici e “divento” uno dei cuochi di una mensa per disagiati e senza fissa dimora». Comincia così il racconto di Stefano P., 45 anni, che grazie ad un suo vicino di casa, Peppe S., ha scoperto cosa vuol dire fare volontariato e cosa significa farlo per persone che nella vita hanno perso le certezze più concrete: una casa, un pasto e un luogo sicuro. «Una volta alla settimana preparo i pasti alla mensa del convento delle suore che gestiscono l’asilo temporaneo “La Palma”, dove vengono prese in carico persone bisognose». Esempi di uno spaccato di umanità che hanno coinvolto Stefano, e tanti come lui, che si sono avvicinati al volontariato. «Ho cominciato perchè mi piaceva cucinare, che è una mia grande passione; ma poi, piano piano, è subentrato altro. Quello che dava piacere a me stesso è diventato il piacere di fare qualcosa per gli altri». Ed è stato in questo momento che il contesto ha preso il sopravvento portando Stefano in quello che è davvero il mondo del volontariato. In quel convento, infatti, orbitano persone di diversa cultura, di ambiti sociali opposti e di provenienza diversa, eppure tutti accomunati da quella che è la storia della strada e la cultura del sopravvivere. «Nei loro occhi leggi  la loro storia, fatta di abbandono, di sofferenza, ma anche di dignità. A volte la percepisci a pelle, allora diventa difficile restare impassibile ed è complicato non farsi coinvolgere. Ma è a questo punto che, se davvero vuoi fare del volontariato e vuoi aiutare gli altri, devi fare un passo indietro». A raccontare com’è difficile la vita di uno che ha scelto di aiutare gli altri c’è anche l’associazione di cui Stefano fa parte, “Progetto Abbracci” che nasce dalla sofferenza di una madre, Giovanna Zanfagna, che in un incidente ha perso il proprio figlio e che invece di chiudersi in un dolore reso sordo dalla disperazione, è riuscita ad aprirsi al mondo e agli altri attutendo quella sofferenza che per lei è stata l’atto straziante di una vita strappata, quella di Andrea.   A dare una mano ai volontari dell’associazione e della onlus comunale, che li coadiuva, ci sono però anche pasticcerie, ristoranti e laboratori che forniscono dolci, ai quali pensa Carraturo a Porta Capuana, secondi piatti e contorni, forniti da Zi Teresa, gli Scugnizzi e da La Sonrisa, e di pane che quotidianamente regala Ambrosino, realtà imprenditoriali che si prestano specificamente a preparare per queste persone dei pasti caldi o, come per le festività camnoniche, dei momenti di aggregazione oltre che di rifocillazione. «Per la Vigilia di Natale abbiamo già preparato tutto, poi ci sarà uno dei volontari che andrà a finire i piatti - ha detto Stefano - Stessa cosa per il 31 luglio quando facciamo una braciata tutti insieme alla quale ci uniamo anche noi volontari». Fondamentalmente è questo l’unico momento di sintesi tra questi due mondi che si intersecano quotidianamente ma che restano sempre a un passo di distanza «perchè è difficile, e in certi momenti anche doloroso, immergersi in queste realtà. Rischia di diventare straziante, anche se io devo ammettere, seppure togliendo tempo alla famiglia, di non riesco più a fare a meno di venire in mensa. Aiutare gli altri è, in fondo, aiutare se stesso».

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