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«Il carcere sia davvero rieducativo»

«Il carcere sia davvero rieducativo»

L'intervista a don Franco Esposito, cappellano della casa circondariale di Poggioreale e presidente della “Liberi di Volare onlus”

NAPOLI. «Il carcere riesce poche volte ad essere rieducativo. Basti pensare che l’80% delle persone che finisce di scontare in carcere la propria pena poi torna a delinquere». È l’allarme lanciato da don Franco Esposito, presidente della onlus “Liberi di Volare”. Don Franco, la sua attività per il reinserimento dei detenuti risale nel tempo: «Da 15 anni sono cappellano al carcere di Poggioreale e sono anche direttore della Pastorale Carceraria. Inoltre, sono presidente della Liberi di Volare Onlus con la quale portiamo avanti progetti di recupero dei detenuti disposti a cambiare vita dopo aver scontato la propria pena. Da un anno la nostra sede si trova in via Giuseppe Buonomo 39 alla Sanità, in uno spazio della Curia. prima eravamo ai Tribunali».

Quanti sono i detenuti in affidamento e quali sono le attività?

«Attualmente sono una cinquantina i detenuti che accogliamo nella nostra struttura. Una quarantina, in affido, qualche altro è ristretto ai domiciliari ed altre ancora si trovano ancora in carcere. Insieme alla cooperativa Articolo 1 promuoviamo laboratori di scrittura creativa, di realizzazione di prodotti di pellame, bigiotteria che poi vengono messi in vendita. Le persone che frequentano la Liberi di Volare Onlus hanno tra i 18 e i 60 anni ed oltre, provengono da diverse realtà ed hanno commessi reati diversi. Questo, però, per noi non fa differenza ed anzi rappresenta una cosa positiva perché grazie questa diversità di contesti c’è la possibilità per tutti di arricchirsi spiritualmente e come persone».

Come vengono inseriti nei percorsi da voi promossi?

«Le persone ci vengono segnalate dagli istituti penitenziari, i papabili però prima fanno un colloquio con noi per capire se davvero hanno la volontà di cambiare vita dopo aver scontato la pena. Solo allora partono con il percorso riabilitativo».

Ecco, su questo: il carcere davvero riesce a cambiare le persone?

«In Italia il carcere riesce poche volte ad essere rieducativo. Basti pensare che l’80% delle persone che finisce di scontare in carcere la propria pena poi torna a delinquere una volta libero. Il dato, invece, si abbassa dell’8% quando i detenuti accedono a misure alternative. Ripeto, la funzione rieducativa del carcere qui non si realizza. Inoltre, a Napoli e al Sud c’è un ulteriore handicap».

Quale per la precisione, don Franco?

«Che ad esempio una realtà come la nostra non è riconosciuta a livello istituzionale. Parecchie volte ho chiesto al sindaco Luigi de Magistris e all’Assessorato alle Politiche Sociali di intervenire su questo punto e darci una riconoscibilità. Spero che, al silenzio attuale, si sostituisca una presa d’atto».

Proprio il sindaco di recente ha indicato come garante dei detenuti Pietro Ioia, una nomina che ha creato numerose polemiche. Lei come la vede?

«Sono contento per Pietro, con il quale abbiamo collaborato in diverse occasioni. Non sarei onesto se omettessi di dire che qualche perplessità in me si è comunque palesata perché sapevo che tra i candidati c’erano persone che avevano compiuto un certo percorso di studi e che avevano una certa padronanza di linguaggio. Però c’è anche da dire che Ioia ha dimostrato di voler abbracciare una nuova fase della sua vita dopo essere stato in carcere tanti anni e quindi mi fa piacere abbia questo nuovo incarico».

A livello legislativo è cambiato qualcosa sulle carceri?  

«Si è fatto un passo avanti e poi due indietro. L’ex ministro della Giustizia Orlando, nel Governo del centrosinistra con Gentiloni, aveva dato delle indicazioni alle quali però non sono state date seguito con i successivi Governi. La politica dovrebbe toccare con mano la realtà delle carceri. Ma ciò non avviene».

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