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16 Gennaio 2020 - 08:00
NAPOLI. È un filo intriso di sangue e vendetta quello che con sempre maggiore insistenza sembra condurre dall’omicidio di Ciro Cortese a via Vanella Grassi, storica enclave del clan dei “Girati” di Secondigliano. “’O gorilla”, fratello del più noto ras Giovanni “’o cavallaro”, avrebbe pagato con la vita con l’arroganza e la spregiudicatezza con cui aveva conquistato il comando della cosca dopo l’arresto del boss Antonio Mennetta. Uno sgarro imperdonabile che il 27 aprile del 2015 gli costò un colpo di pistola in pieno volto e altri due al collo e al torace mentre si trovava all’interno del bar che gestiva a Casavatore: «Arrivò a pensare di essere lui il capo della Vinella e questa circostanza gli alienò molte simpatie». Salvatore Tamburrino, per anni fedelissimo alter ego del superboss Marco Di Lauro e da pochi mesi collaboratore di giustizia di primissimo piano, non ha dubbi nell’inquadrare contesto e movente del delitto Cortese. Incalzato dagli interrogativi del pubblico ministero della Dda, il 21 novembre scorso il neopentito si è espresso in questi termini: «Ciro Cortese, detto “’o gorilla”, è il fratello di Giovanni “’o cavallaro”. Era una persona legata ad Antonio Mennetta. Fino a quando c’era quest’ultimo fu il suo “portavoce”, poi, una volta arrestato Mennetta, giunse a pensare di essere lui il capo della Vinella, il che gli alienò molte simpatie per il suo pessimo carattere». Tamburrino lascia così intendere che il 37enne Ciro Cortese possa essere assassinato nell’ambito di una spietata epurazione interna al clan dei “Girati”. Sul punto, il collaboratore di giustizia fornisce agli inquirenti antimafia un ulteriore aneddoto a supporto della propria tesi: «Con Giovanni Cortese parlammo delle possibili cause della sua morte, ma lui non aveva certezze. Ad ogni modo Ciro Cortese si occupava di droga per conto della Vinella con Corrado Orefice e altri». Un’ulteriore informazione, quest’ultima, con cui Tamburrino lascia intendere che il movente dell’agguato di Casavatore sia maturato nell’ambito dei contrasti legati allo spaccio di stupefacenti. Proprio a Corrado Orefice, uno degli ultimi capi del clan della Vanella Grassi, Salvatore Tamburrino dedica un ampio passaggio e anche in questo caso il collaboratore di giustizia non fa mancare un riferimento a possibili, gravi fatti di sangue: «Corrado Orefice, detto “’o cunfettaro”, nasce come persona legata a Giovanni Cortese (uomo di punta del “sistema” di cupa dell’Arco, legatissimo a Cosimo e Salvatore, ndr), ha fatto parte prima dei Di Lauro, poi è stato affiliato alla Vinella. In passato l’ho incontrato in compagnia di Antonio Mennetta e si giustificò con me di essere transitato dai Di Lauro agli Scissionisti perché i Di Lauro lo avevano trattato male. So che ha gestito il clan della Vinella con Ciro Cortese e con Diego Colurcio dopo l’arresto di Mennetta». L’ultimo passaggio di Tamburrino apre quindi le parte a un possibile, inquietante risvolto investigativo: «Non sono a conoscenza di omicidi commessi da Orefice, ma Mennetta lo elogiava dicendo che “’o tene”, lasciando intendere che qualcosa aveva fatto». Tanti, troppi punti di domanda per decine di delitti consumatisi nelle tre faide di Scampia e ad oggi ancora irrisolti. Spulciando i verbali redatti sulla scorta delle informazioni fornite da Tamburrino, l’impressione è che però il cerchio delle indagini potrebbe chiudersi in tempi ragionevolmente brevi almeno per quel che concerne l’assassinio di Ciro Cortese. I fari della Procura sono ora puntati più che mai sui ribelli della Vanella.
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