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Il narcos Bruno Carbone rischia 30 anni di carcere

Il narcos Bruno Carbone rischia 30 anni di carcere

NAPOLI. Sulla sua testa pende la pesantissima accusa di essere il regista, insieme al “socio” Raffaele Imperiale, di uno spaventoso traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Nonostante di lui, così come di Imperiale, sembra essersi persa ormai da tempo ogni traccia, le sue gesta criminali continuano a tenere banco sulle pagine di cronaca. L’ultimo, clamoroso giallo riguarda il mistero del suo arresto a Dubai: una cattura che ad oggi non è stata ancora confermata. Il nodo potrebbe però essere sciolto a brevissimo: oggi è infatti atteso all’aeroporto di Capodichino l’uomo arrestato la scorsa settimana negli Emirati. Inquirenti e investigatori scopriranno così finalmente se si tratta di lui oppure, come emerso pochi giorni fa, del ristoratore innocente Domenico Alfano. Qualora dovesse però trattarsi effettivamente di Bruno Carbone ad attenderlo ci sarà una pessima “sorpresa”: la requisitoria del pubblico ministero della Dda di Napoli, che ieri mattina ha chiesto per il narcos invisibile una condanna a 30 anni di reclusione.
Il cerchio giudiziario inizia dunque a stringersi intorno al narcos latitante. Imputato in contumacia, Bruno Carbone, difeso dall’avvocato Giacomo Pace, rischia di andare adesso incontro a una condanna a dir poco esemplare. Nel processo di primo grado che si sta celebrando con il rito ordinario il pubblico ministero ha poi invocato 4 anni e 6 mesi di carcere per l’altro imputato, Giuseppe Iacolare, difeso dagli avvocati Luigi Senese e Massimo Vetrano. La contestazione di cui Iacolare deve rispondere è però ben più lieve di quella di Carbone: deve infatti rispondere di un unico episodio di spaccio avvenuto alcuni anni fa a Palermo. La sentenza è attesa per fine febbraio.
L’inchiesta che ha portato alla sbarra Bruno Carbone e Giuseppe Iacolare risale al 22 febbraio del 2016, quando ventidue persone furono raggiunte da una maxi-ordinanza di custodia cautelare in carcere. In manette finirono rampolli e affiliati del clan Nuvoletta, che secondo le ipotesi dei magistrati napoletani erano di fatto subentrati negli affari illeciti al clan Polverino, fino a poco tempo prima egemone nel territorio maranese e nella zona flegrea. A capo del cartello criminale, che importava carichi di droga dalla Spagna, Antonio Nuvoletto, già destinatario di precedenti provvedimenti di custodia cautelare. La droga veniva immessa sul mercato della Campania ma anche in Sicilia. Ed è proprio in questo contesto che è stato fatto luce sul tentato omicidio del figlio di un boss siciliano, che sarebbe stato organizzato proprio da Nuvoletto. Durante il blitz erano stati trovati e sequestrati anche 35 chilogrammi di cocaina purissima del valore di circa due milioni di euro. Il carico di droga venne interamente recuperato a Marano. Altri due chilogrammi di hashish, invece, erano stati trovati a casa di un altro indagato, sempre nel comune alle porte di Napoli Nord. La cocaina, tagliata e venduta al dettaglio, avrebbe fruttato agli spacciatori circa due milioni di euro. Sui panetti alcuni simboli come il logo della “Apple”. Bruno Carbone riuscì però a far perdere le proprie tracce e per lui le manette ai polsi non sono mai scattate. Una latitanza che con il tempo ha assunto i contorni di un vero e proprio intrigo internazionale. Il nodo potrebbe però essere sciolto tra pochi giorni.

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