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23 Gennaio 2020 - 11:08
NAPOLi. Sull’intrigo internazionale di Dubai fa capolino un primo spiraglio di luce. Domenico Alfano, il ristoratore napoletano arrestato il 20 dicembre scorso in quanto sospettato di essere il narcotrafficante Bruno Carbone, è stato scarcerato a poche ora dalla partenza dell’aereo che avrebbe dovuto riportarlo in Italia. Quando era ormai tutto pronto per l’estradizione, e soprattutto dopo oltre un mese di prigionia negli Emirati, l’imprenditore è infatti tornato a piede libero. Già in occasione dell’arresto eseguito nell’aeroporto di Dubai il 43enne Domenico Alfano aveva sostenuto a gran voce la propria innocenza. L’imprenditore, titolare di un rinomato ristorante a Panama, aveva infatti spiegato che il passaporto con il quale viaggiava non era falso, come invece trapelato dai primi controlli, e che soprattutto lui non era affatto Bruno Carbone, il broker della droga ricercato da anni per i suoi affari con i “sistemi” di Napoli e dell’hinterland settentrionale del capoluogo. La vicenda, per motivi e responsabilità al momento tutti da accertare, si è però aggrovigliata in maniera drammatica. Un quadro labirintico, costato ad Alfano 31 giorni di carcere. La buona notizia è che quando il suo destino sembrava ormai segnato, con tanto di estradizione in Italia già fissata per la giornata di ieri, ecco che è arrivata l’improvvisa e inattesa scarcerazione. A poche ore dalla partenza del volo con cui sarebbe stato trasferito a Roma il 43enne ha così potuto riabbracciare la moglie e i due figli minorenni: tutti presenti a Dubai al momento del fermo e rimasti negli Emirati da quel giorno. L’odissea vissuta da Domenico Alfano rischia però adesso di avere delle pesanti ripercussioni. Ne è convinto Stefano Zoff, l’avvocato che ha assistito il 43enne nei complicati sviluppi di questo intrigo internazionale: «Mi sembra evidente - commenta a caldo il penalista - che siamo davanti a un colossale equivoco, che è però costato tantissimo ad Alfano e la sua famiglia in termini di sofferenza. Non sappiamo ancora chi sia, ma un responsabile per quello che è accaduto deve esserci». L’avvocato Zoff, pur senza puntare il dito contro nessuno, azzarda un’ipotesi: «Forse c’è stata una diffidenza degli inquirenti italiani nei confronti degli investigatori di Dubai, ma anche l’Interpol, che è subito intervenuta, avrebbe dovuto avere tutti i mezzi per verificare l’identità del mio assistito. Gli elementi individualizzanti c’erano tutti». Qualcosa però è andato storto. Un cortocircuito sul quale la famiglia Alfano vuole adesso vederci chiaro: «Ci riserviamo - conclude l’avvocato - di valutare tutte le possibili iniziative che ci possano consentire di arrivare alle risposte che stiamo cercando. Innanzitutto è necessario chiarire il perché dei tempi biblici con cui si è sviluppata la vicenda. Dopo di che, se ce ne saranno gli estremi, intraprenderemo un’azione legale per risarcimento».
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