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01 Febbraio 2020 - 08:41
Marsicani: «Fermi i rapporti con Shanghai». Menniti: «La gente non esce più di casa»
NAPOLI. Anche l’economia della Campania rischia di essere contagiata dal “coronavirus” cinese. Nel 2019 l’interscambio commerciale tra la sola Napoli e la Cina si è attestato sul miliardo di euro, le conseguenze dell’epidemia rischiano però di compromettere non solo questo business ma anche gli stessi accordi commerciali tra gli operatori economici dei due Paesi. Soprattutto nel campo del food, dell’abbigliamento e del turismo. «Siamo in forte trepidazione», afferma Nicola Marsicani, imprenditore oleario. «Da circa un mese non abbiamo rapporti con un nostro cliente di Shanghai, costretto per precauzione a non muoversi dalla sua sede e non sappiamo se gli ordinativi saranno mantenuti. La Cina, con il Giappone ed Hong Kong sono i nostri principali mercati in Asia e se la situazione non cambierà entro i prossimi mesi saremo costretti ad intraprendere rapporti con altri Paesi». Anche la Fabbrica della Pasta di Gragnano sta pensando di allacciare rapporti commerciali con India e Turchia. «Noi esportiamo soprattutto a Hong Kong, ma c’è terrorismo ovunque perché la verità sui numeri non è chiara a causa del regime di Pechino», dice Ciro Moccia, direttore generale dell’azienda pastaia. L’imprenditore gragnanese riferisce che il principale mercato di sbocco per il pastificio è Shanghai, dove i prodotti campani sono particolarmente apprezzati ma, adesso in attesa che la situazione torni normale, l’azienda sta valutando la possibilità di penetrare in altri mercati emergenti, come Turchia e India. Una situazione che sta valutando anche il brand del bassotto, presente a Shanghai, Shentzen, Hong Kong, Taiwan e Macao. «Non è soltanto il mercato cinese a fermarsi oggi, c’è il rischio che nei prossimi mesi si possano fermare anche altre aree del continente asiatico dove l’economia stava girando bene», commenta Domenico Menniti, presidente dell’azienda napoletana Harmont&Blaine. «Purtroppo la gente non esce più di casa, non fa acquisti, non viaggia più e questo ci spinge a valutare un “piano B” nel caso dovesse protrarsi a lungo questa situazione. Il nostro è un prodotto di fascia medio-alta ed i cinesi sono tra i principali acquirenti del ben fatto sartoriale sia nel loro Paese che in Italia». La conferma viene anche da Luigi Giamundo, della Sezione Moda di Confindustria Campania: «Il coronavirus rischia di tagliare le gambe anche a quelle imprese campane, circa il 70-80%, che acquistano tessuti in Cina per poi provvedere alla loro lavorazione e allo stampaggio nei nostri territori. Stanno venendo a mancare i punti di riferimento in quel Paese, saltano gli incontri già programmati, le fabbriche sono chiuse, gli operai sono rinchiusi nelle proprie case e l’economia è ferma». Un altro settore che risentirà delle conseguenze del coronavirus è il turismo. «Per la prima volta a Napoli avremmo ospitato nel mese di marzo una trentina di operatori cinesi nel corso della Bmt», dice Angioletto De Negri, imprenditore turistico. «Non sarebbero stati ospiti del comune o della Regione ma della Progecta, organizzatrice della rassegna borsistica, facendo quello che avrebbero dovuto fare gli enti locali per sviluppare l’incoming soprattutto sui mercati emergenti. Purtroppo siamo stati costretti ad annullare le prenotazioni alberghiere. Con 130 milioni di turisti l’anno nel mondo, i cinesi rappresentano circa il 10% del turismo in Italia e sono quelli che acquistano più degli altri viaggiatori articoli di lusso. E questo è un grave danno per tutta la filiera turistica».
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