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12 Febbraio 2020 - 08:11
Delitto Ciro Verrello, la lettera choc in aula: «Ero un 19enne senza valori»
NAPOLi. Due pagine tracimanti rabbia e dolore per dare un taglio definitivo al proprio passato di babycamorrista. Il giovane ras Nunzio Andolfi, alias “Nunziello”, imputato per l’omicidio di Ciro Varrello, assassinato il 23 gennaio del 2013 in seguito a una lite scaturita da motivi passionali, dopo sette anni di detenzione trascorsi nel silenzio più assolto, ha deciso di cambiare vita. Lo ha affermato nella lunga lettera depositata innanzi alla Corte d’assise d’appello di Napoli: «Ammetto gli addebiti, sono io il responsabile di quel delitto. All’epoca avevo solo 19 anni ed era cresciuto senza un padre e senza valori. Oggi voglio dissociarmi da qualsiasi associazione camorristica e contesto criminale». La missiva scritta dal rampollo della mala barrese si è abbattuta come un fulmine a ciel sereno sul processo di secondo grado che vede il figlio del boss Andrea “’o minorenne” alla sbarra per l’omicidio di Ciro Varrello, e Angelo Cuccaro e Mario Campisi per quello di Ciro Valda. Detenuto a Vibo Valentia, Nunzio Andolfi ha deciso di mettere nero su bianco i sentimenti e i pensieri che da tempo l’accompagnano: «All’epoca - si legge nell’atto appena depositato - avevo appena 19 anni, ma nel corso di questi sette anni in carcere sono radicalmente cambiato. In quegli anni in cui ero poco più che adolescente, in ragione del contesto sociale in cui ero nato e cresciuto, per l’assenza di una valida istruzione, per mancanza di una figura paterna, il senso di tante cose, parole, atteggiamenti e comportamenti non lo comprendevo. Da qui la ragione di errori e scelte che hanno compromesso il mio futuro». Per l’assassinio di Varrello Andolfi jr ha infatti incassato in primo grado la condanna all’ergastolo. Pena che la pubblica accusa ha adesso invocato anche in appello, così come per Cuccaro e Campisi, che però, a differenza di Andolfi, non hanno mai ammesso gli addebiti. Sul punto, il 26enne killer si è a lungo soffermato nella lettera scritta il 5 febbraio scorso: «Oggi non mi rivedo per nulla nella persona di quell’orribile giorno, a tal punto di autoconvincermi di essere innocente. È per questo che fino ad oggi ho sempre cercato di difendermi, ma non ce l’ho fatta più e sono crollato moralmente. Ho un peso dentro molto più grande di me che mi sta facendo stare sempre più male». Nunzio Andolfi va quindi al nocciolo della questione: «Oggi ho un solo obiettivo nella vita, quello di pagare la mia pena e ritornare, un giorno, da uomo libero da mia moglie per poter costruire con lei un futuro diverso lontano da Napoli e dalla Campania. Concludo ripetendo le scuse a tutta la Corte, alla famiglia della vittima e mi dissocio da tutto e tutti». Parole, le sue, che non sembrano aver scalfito le convinzioni del pubblico ministero, che ieri ha invocato la conferma della condanna per lui e gli altri due imputati. Il rischio è quel “pentimento” sia arrivato troppo tardi.
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