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Agguato nell’autolavaggio: «L’obiettivo era il ras Iodice»

Agguato nell’autolavaggio: «L’obiettivo era il ras Iodice»

L’ex uomo dei Moccia: «Renato Tortora voleva la scissione e ordinò il raid». Il neo pentito Luigi Migliozzi rivela: «Giuseppe Fonzo fu ferito per ripiego»

NAPOLI. Pietro Iodice, alias “Pierino ’a Siberia”, doveva morire. Fu questo il verdetto emesso dal tribunale della camorra. La decisione del ras del clan Moccia di base a San Pietro a Patierno di monopolizzare i traffici di droga di Casoria innescò nel giro di una manciata di giorni un’inarrestabile escalation di sangue e piombo. E la rivolta partì proprio dal suo uomo di massima fiducia: il reggente Renato Tortora. Ne scaturì una scissione devastante, consumatasi a suon di stese, bombe e vendette trasversali. Ma è nel tardo pomeriggio del 4 dicembre del 2018 che la guerra raggiunse il suo apice. In un autolavaggio di via della Cave, raggiunto da una raffica di colpi di pistola, viene gravemente ferito Giuseppe Fonzo. Ebbene, secondo il neo pentito Luigi Migliozzi, il vero obiettivo dell’agguato era in realtà il boss Iodice, riuscito a mettersi in salvo per una pura casualità. A ricostruire la vicenda nei minimi dettagli è l’ex estorsore del clan Moccia. La sua decisione di collaborare con la giustizia, la cui notizia è stata anticipata ieri dal “Roma”, rischia di avere un impatto dirompente sulle sorti del clan afragolese. Ed è sufficiente sfogliare i verbali relativi all’interrogatorio al quale Migliozzi è stato sottoposto appena il 9 gennaio scorso per cogliere la portata indiziaria delle informazioni di cui è in possesso. Incalzato dai quesiti del sostituto procuratore della Dda, Ivana Fulco, il 26enne ha ricostruito nel dettaglio il raid per il quale stati fino ad oggi indagati, nonché destinatari di un decreto di fermo, Emanuele Angelo Maugeri, Francesco Carpentieri, Cristian Scognamiglio e Rosario Garzia: «In merito al dissidio sorto tra Iodice e gli altri affiliati, Giovanni Baratto portò l’imbasciata a Renato Tortora, ai figli e a me, dicendo che era una follia far entrare a Casoria gente di fuori. Dopo l’arresto di Ciro Contini e Vincenzo De Pompeis, Baratto disse che era il momento di approfittarne e Tortora disse che dal mese di novembre i soldi della droga non dovevano essere più portati a “Pierino” Iodice ma a lui che poi li avrebbe spartiti a noi». La tregua era definitivamente rotta: «Tortora fino a quel momento era il braccio destro di Pietro Iodice; infatti quest’ultimo stava a San Pietro e gestiva Casoria tramite Tortora». A questo punto il neo pentito entra nel merito delle fasi che hanno preceduto l’agguato: «Dopo due giorni - ha spiegato Migliozzi - Iodice ha mandato omissis a San Mauro da Tortora a dire che lo voleva incontrare nell’autolavaggio di Fonzo, che era il nostro punto di incontro. Tortora fece dire a Iodice che se voleva parlare con lui doveva andare a Casoria; “Pierino”, saputa la risposta, mandò omissis a sparare sotto casa di Giovanni Baratto in via XXV Aprile». Da quel momento l’escalation di violenza è diventata inarrestabile: «Il 2 o il 3 dicembre hanno sparato due o tre “botte” contro Pietro Tortora, il quale stava passando a San Pietro a Patierno per recarsi dalla fidanzata». La reazione del clan fu immediata. Prima i colpi di pistola esplosi contro il palazzo in cui viveva il padre di Iodice: «Sparammo contro il cancello perché Renato aveva paura che potesse rimanere ferito qualche bambino». Subito dopo l’agguato in via delle Cave: «Giovanni Baratto disse a Tortora che aveva due suoi compagni, Cristiano Scognamiglio e Rosario Garzia “’o lione”, che il giorno prima erano andati al lavaggio e videro “Pierino” che parlava con Fonzo. Baratto gli propose di affiliarsi a noi per prenderci il paese. Garzia disse a Baratto di voler prendere parte all’agguato. La vittima doveva essere “Pierino ’a Siberia”. Ad avere la paggio, centrato anche da un colpo di pistola in pieno volto, sarà però Giuseppe Fonzo. L’uomo al posto sbagliato nel momento sbagliato.

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