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20 Febbraio 2020 - 07:00
NAPOLI. Ci sono voluti trentuno anni di indagini ma alla fine ha deciso di gettare la maschera e ammettere gli addebiti: «Sono io il responsabile dell’omicidio di Gennaro Politelli. È questo l’unico delitto che ho commesso nella mia vita». Domenico Lo Russo, fratello minore del boss Giuseppe e del pentito Mario, con questa stringatissima dichiarazione ha confessato la propria responsabilità in merito all’agguato messo a segno il 15 gennaio del 1988 all’interno dell’ascensore di un complesso di edilizia popolare nel quartiere Chiaiano. La minore caratura criminale e una certa instabilità caratteriale hanno da sempre relegato Domenico Lo Russo a un ruolo secondario, almeno rispetto ai fratelli ras, nelle gerarchie dello storico clan dei “Capitoni” di Miano. Nonostante ciò sulla testa del 61enne “Mimì” sono comunque piovute nel tempo accuse più che mai consistenti: da quella, quasi scontata, di associazione camorristica a quella di aver preso parte a gravi fatti di sangue. L’ultimo, clamoroso colpo di scena è arrivato appena due giorni fa, quando Domenico Lo Russo è finito in manette insieme al fratello Giuseppe, che a differenza sua era da tempo già detenuto. “Mimmo”, arrestato in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, è indagato per l’omicidio di Gennero Politelli e per quello di Francesco Palumbo, avvenuto il 7 giugno 1994, mentre il fratello maggiore soltanto del secondo delitto. L’inchiesta sui due agguati è arrivata a una svolta dopo tantissimo tanto soprattutto grazie al pentimento dei fratelli Mario e Carlo Lo Russo. Ma sfogliando le 72 pagine del provvedimento restrittivo firmato dal gip Cananzi emerge un inedito retroscena. Lo stesso Domenico Lo Russo, incalzato dai quesiti degli inquirenti della Dda di Napoli, il 19 gennaio 2019 ha deciso di vuotare il sacco e rendere una breve ma determinante dichiarazione spontanea: «Sono imputato per l’omicidio di Ciro Tortora, di cui però non so nulla. Ho invece commesso l’omicidio di Gennaro Politelli e nessun altro». Poche parole, destinate a diventare la pietra tombale su qualsiasi ipotesi di dubbio circa l’eventuale coinvolgimento di “Mimmo”. Il ras di Miano, è doveroso precisarlo, non ha comunque tirato in ballo nessuno degli altri sei indagati. Al netto della confessione resa da Domenico Lo Russo, già il fratello Mario, collaboratore di giustizia, aveva fornito ampie delucidazioni sul delitto: «Ricordo che Gennaro Licciardi “’a scigna”, Vincenzo Licciardi “’o chiatto”, Costantino Sarno e Gaetano Bocchetti mi dissero che dovevamo “buttare” Politelli, cioè ucciderlo perché aveva ammazzato un loro amico insieme a una donna». Era il 19 febbraio 2019 quando Mario Lo Russo, il secondo in ordine di tempo dei fratelli boss a pentirsi, parlò dell’omicidio di Gennaro Politelli, ras del Vomero legato agli Alfano e in rapporti anche con la Masseria Cardone di Secondigliano. «Me lo dissero nel rione San Gaetano, vennero da noi e c’erano anche i miei fratelli Mimmo e Carlo. Io ne parlai con questi ultimi e organizzammo l’omicidio. Passò solo qualche giorno». La trappola scattò il 15 gennaio 1988 a Piscinola: «Organizzammo facilmente l’omicidio - ha raccontato Mario Lo Russo - perché ci vedevamo spesso con Politelli. Lo trattenemmo con una scusa a casa di mio fratello Carlo in II traversa Janfolla. Dicemmo che “Mimmo” lo voleva incontrare e poiché era latitante si doveva andare da lui di sera». Di lì a breve Politelli venne trafitto da cinque colpi di pistola a bruciapelo.
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