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02 Marzo 2020 - 18:04
NAPOLI. L'incendio che il 4 marzo del 2013 ha quasi interamente distrutto la “Città della Scienza", nella zona di Bagnoli, a Napoli è stato appiccato nelle aree dove era da poco passato il custode, Paolo Cammarota, il quale aveva anche «ragioni di contrasto» con l'ente per cui lavorava e «profondi dissapori» di natura economica. È quanto scrivono i giudici della Prima sezione penale della Corte di Cassazione nel motivare la sentenza con cui il 26 novembre scorso, accogliendo il ricorso della Procura generale di Napoli, hanno annullato l'assoluzione di Cammarota disponendo un nuovo processo davanti a una diversa sezione della Corte d'Appello. Per la Cassazione, i giudici di secondo grado sono incorsi in «plurime lacune motivazionali sotto il profilo sia del travisamento della prova che della manifesta illogicità dell'apparato argomentativo». L'allora custode della struttura, in primo grado venne condannato a sei anni con rito abbreviato e poi assolto in appello il 21 novembre del 2018. Decisione, quest'ultima, su cui non sono però d'accordo i giudici di piazza Cavour.
IL LEGALE. «L'incendio di Città della Scienza rappresenta una ferita aperta per tutta la comunità napoletana e per quella scientifica». Così l'avvocato Giuseppe De Angelis, parte civile al processo per Città della Scienza, commentandolo le motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione che ha disposto un nuovo processo di Appello ribadendo, «nel rispetto delle decisioni dei giudici, che la Fondazione Isis Città della Scienza continuerà a compiere ogni sforzo per l'accertamento della verità».
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