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L’Asl: «Conseguenze durissime per chi ha devastato il Pellegrini»

L’Asl: «Conseguenze durissime per chi ha devastato il Pellegrini»

Verdoliva: «Abbiamo tutti gli elementi per individuare i delinquenti». Il responsabile del pronto soccorso: «Assistito anche chi si è ferito sfasciando i locali»

NAPOLI. «Abbiamo tutti gli elementi per individuare i delinquenti che hanno profanato e insultato un ospedale, quindi mi aspetto che le conseguenze siano durissime». L’appello è del numero uno dell’Asl Napoli 1 Ciro Verdoliva che alza la voce e chiede misure severe dopo l’assalto al pronto soccorso dell’ospedale Pellegrini da parte di amici e conoscenti di Ugo Russo. Una notte, quella di sabato, terribile per gli operatori del pronto soccorso. La furia dei conoscenti del 15enne è stata tale da portare alla chiusura temporanea del pronto soccorso, fino alle 20 di domenica, quando un lungo applauso e il suono della sirena di un’ambulanza hanno segnalato la riapertura del pronto soccorso. Il dg dell’Asl Napoli 1 ha evidenziato come «tutto il personale del pronto soccorso domenica ha voluto esserci alla riapertura. Medici, infermieri, tutti hanno voluto essere presenti per solidarietà tra loro e per lanciare un segnale forte di compattezza a della squadra. Si dice - ha aggiunto in un intervento a radio Crc - che quando arriva la droga del quartiere si sparano i fuochi, e noi, con le sirene, abbiamo voluto esprimere un concetto: non la daremo vinta a questi delinquenti e ripartiremo più forti di prima». Verdoliva ha spiegato ancora di aver sentito ieri mattina, a fine turno, gli operatori del pronto soccorso. «È mia intenzione ascoltarli tutti, per dimostrare che l’azienda è del tutto dalla loro parte. Stanno piano piano emergendo delle riflessioni che saranno oggetto di una riunione con tutti loro. Riflessioni in termini di sicurezza per comprendere tutti gli elementi di frapposizione tra loro che lavorano in prima linea e chi va al pronto soccorso». Sulle misure di sicurezza all’interno degli ospedali, Verdoliva spiega: «Sul presidio di polizia fisso con due agenti non sono mai stato convinto, e ieri trenta agenti non hanno potuto fare molto. Qui bisogna cambiare la gente, far capire alle persone che la sanità è al loro servizio». È da questa riflessione che si riparte, ricostruendo la terribile notte di sabato: «C’è stato un episodio di guerra tra Stato e anti-Stato. È stata una colata di lava così bollente da non poter essere gestita dalle guardie. Abbiamo fatto in modo che non entrassero in rianimazione, dove era il ragazzo. Alla notizia del decesso, si è scatenato il delirio, persone che gettavano in aria computer, monitor, lettini. Gli operatori si sono ammassati, assieme ai pazienti, in una stanza. Schizzi di sangue ovunque. Io sono arrivato alle 7 e ho trovato Oss, infermieri e medici terrorizzati dall’accaduto, pazienti ancora più spaventati». Da qui la decisione di chiudere il pronto soccorso: «Ho percepito l’impossibilità di poter svolgere il servizio, sia per garantire la sicurezza di operatori e pazienti, ma anche perché non c’era nemmeno un defibrillatore, un lettino, un lenzuolo. Quindi, alle 7,30, ho dovuto dichiarare l’interruzione del servizio, una cosa assurda e pericolosissima». Gli operatori dell’ospedale della Pignasecca sono ancora tutti molto scossi, ma pronti a ripartire. «La calma in reparto è tornata anche perché c'era la vicinanza di tutti», dice Emilio Bellinfante, responsabile del Pronto Soccorso, che torna con la mente al sabato notte: «Non era facile, ma nessuno si è tirato indietro. I miei infermieri - racconta - hanno assistito quegli stessi individui che si erano fatti male sfasciando il nostro pronto soccorso. È il nostro lavoro». Bellinfante rimarca come l’episodio di sabato sia stato eclatante, ma il problema della sicurezza sul lavoro sia una triste piaga che si ripete troppo spesso: «Quotidianamente il personale del pronto soccorso subisce aggressioni verbali, vengono insultati, minacciati. Si fanno davvero molti sacrifici e alla fine il rispetto e la dignità che si devono a chiunque lavori vengono messe sotto ai piedi da queste persone. Non tocca a noi il compito di dire come difenderci - aggiunge - ma chiediamo di essere messi nelle condizioni di poter lavorare e dare cure a chi viene qui, anche se ci aggrediscono. Abbiamo tutti bisogno di un ambiente quanto più sereno possibile». 

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