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07 Marzo 2020 - 18:30
NAPOLI. «Per noi veterinari il coronavirus non è un illustre sconosciuto. Ci è ben noto fin dal 1937, quando lo abbiamo individuato nei polli. Anche altri animali hanno i loro, come il cane e il gatto ma sono propri della specie e non trasmissibili all’uomo». A dirlo è Antonio Limone (nella foto), direttore generale dell’Istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno.
Dottor Limone, come è stato possibile allora il salto di specie che si è verificato?
«Perché si è sbagliato a monte, bisognava impedire prima la diffusione del virus che poi si è mutato cambiando l’assetto genetico. Se in Cina avessero evitato i mercati bagnati, così chiamati perché la macellazione avviene in strada, in un ambito dove convivono uomo e animali selvatici e domestici in una situazione di promiscuità assurda, non si sarebbe verificata la trasmissione. Noi veterinari siamo abituati a combattere le malattie infettive come la brucellosi, la tubercolosi e l’afta epizootica perché abbiamo attuato sempre, fin dal primo momento, strategie di restrizione».
Che sono anche quelle messe in campo dal Governo…
«Certo e non devono spaventarci perché sono le uniche armi che abbiamo per fermare la diffusione del contagio. Vietare assembramenti, mettere in atto misure igienico-sanitarie e impedire eventi in luoghi chiusi limitano le possibilità di deriva pandemica. Se non rispettiamo determinate disposizioni, c’è la possibilità che la malattia si diffonda dal 20 al 60 per cento della popolazione».
Per cui secondo lei l’Esecutivo nazionale sta agendo bene?
«Sì perché non ha altri strumenti. Chiudere le scuole ha fatto in modo che non si muovessero almeno dieci milioni di persone, è stata una misura opportuna. Altre soluzioni se non la limitazione della socialità, quando è possibile, non ne abbiamo per evitare un rischio ancora più grande…».
Quale?
«Che aumentino i casi e quindi anche le persone che necessitano di ricorrere alla terapia intensiva. Per fortuna, l’Italia è una nazione che ha tra i migliori servizi sanitari del mondo».
Come giudica la gestione dell’emergenza in Campania?
«Finora non solo non ho visto errori, ma un forte impegno collettivo, il sistema ha risposto, quello che è importante è capire che nei confronti delle epidemie serve una regia centralizzata. Non fai una lotta con azioni indipendenti e slegate tra di loro. Altrimenti si rischia di morire per psicosi da contagio. Senza pensare che il risvolto di tutto questo è anche la crisi economica, che già sta palesando dati preoccupanti e può portarci al collasso».
C’è chi guarda all’estate come possibilità di fermare l’avanzata del virus…
«Così è stato per la Sars e per Mers, la sindrome respiratoria Medio orientale, due epidemie da coronavirus. Ma il punto è che la limitazione dei virus non è merito del caldo. È che con la bella stagione cambiamo i nostri comportamenti. Si vive più all’aperto, si evitano ambienti chiusi e le possibilità di assembramento. Ma la cosa fondamentale è una sola: tenerci stretta la nostra sanità, penalizzata da ostacoli frapposti alle possibilità di investimento. Perché, a dispetto di quello che si dice, è tra le migliori al mondo e serve perché la salute viene prima di tutto».
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